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a cura di Davide Malacaria
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NEW YORK: L'ELEZIONE DI MAMDANI, UN REFERENDUM SULLA PALESTINA

L’elezione del sindaco di New York ha assunto un alto valore simbolico mano a mano che crescevano i consensi per Zorhan Mamdami, che ha sconfitto due volte Andrew Cuomo, sia alle primarie del partito democratico che alle votazioni successive, alle quali si è presentato come indipendente.

Simboliche perché Mamdami è socialista e musulmano, ma soprattutto perché le sue ferme posizioni su Gaza hanno trasformato le elezioni in un “voto sul Medio oriente”, come titola il New York Times. Titolo un po’ eufemistico per dire che è stato un referendum su quanto sta avvenendo a Gaza e in Cisgiordania, che Mamadami ha stigmatizzato più volte attirandosi ire.

Ha sconfitto un vero e proprio “esercito di miliardari”, per usare le parole del Time, che hanno inondato la campagna elettorale di Cuomo di dollari; e un esercito di rabbini, come attesta la lettera aperta firmata da 1183 rabbini statunitensi che allarmava sulla minaccia che Mamdami rappresenterebbe per gli ebrei.

Ad attestare l’importanza del voto anche l’attenzione spasmodica riservatagli dai media israeliani, quasi tutti allarmati per la possibile vittoria di Mamdami. Allarme che si è trasformato, dopo il voto, in irritazione. Detto questo, non tutti gli ebrei di New York gli erano avversi, tanto il 30% di essi lo ha votato, come scrive Haaretz.

Per comprendere quanto sia stata importante questa elezione per Israele, un cenno di Haaretz: “Mercoledì mattina, i titoli dei giornali israeliani si sono concentrati quasi esclusivamente sulla vittoria di Zohran Mamdani nella corsa a sindaco di New York, per ovvie ragioni. L’elezione di un politico musulmano con posizioni così fortemente contrarie a Israele nella città con la più grande popolazione ebraica al mondo…


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UCRAINA: LA GUERRA INSENSATA CHE DEVE FINIRE

Il 3 novembre Trump ha negato nuovamente il trasferimento dei missili Tomahawk all’Ucraina. Non una mera reiterazione del niet opposto a Zelensky quando, a metà ottobre, si era recato alla Casa Bianca sicuro di riceverli in dono. Infatti, dopo quell’incontro, il Pentagono aveva smentito Trump, il quale aveva fatto leva sulla loro scarsità per negarli, comunicando che invece ce n’erano abbastanza da poter rifornire Kiev.

Si era ripetuto quanto avveniva ai tempi di Biden, quando i niet presidenziali alle richieste sempre più eclatanti di Zelensky erano poi superati grazie alle manovre e alle pressioni dei membri della sua amministrazione.

Con Trump il giochino (al massacro) non ha funzionato, almeno per ora. Trump ha vanificato anche la pressione europea, concretizzatasi con l’invio di altri missili Storm Shadow da parte della Gran Bretagna, che evidentemente sperava con tale mossa di favorire l’indebita sollecitazione del Pentagono. Anche questa è una dinamica già vista con la presidenza Biden.
Il niet di Trump è stato accompagnato ad alcune significative dichiarazioni di altre figure chiave del conflitto ucraino, che in questi giorni hanno cercato di convincere Zelensky a recedere dal continuare a mandare al macello i suoi concittadini.

Riportiamo da Strana del 4 novembre (il giorno successivo alla dichiarazione di Trump): “Il rappresentante permanente degli Stati Uniti presso la NATO, Matthew Whitaker, è arrivato a Kiev. Ha già incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky”.
“Whitaker ha scritto [dell’incontro] sul social media X: ‘Ho chiarito che questa guerra insensata deve finire e che la pace, da raggiungere grazie agli sforzi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump; è l’unica via percorribile'”...


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🇭🇺🇭🇺🇺🇸🇺🇸🇮🇷🇮🇷 TRUMP INCONTRA ORBÁN E APRE ALL'IRAN

Trump ha incontrato  Viktor Orbán alla Casa Bianca. Un evento di rilevanza primaria se si tiene a mente che a metà ottobre era sul tavolo l’incontro con Putin a Budapest, con il primo ministro ungherese pronto a ospitare il summit. Eppure la visita ha avuto poca eco sui media mainstream dal momento che la distensione Usa-Russia e la conclusione del conflitto ucraino sono avversati con ferocia dal partito della guerra a trazione neocon.

E, però, l’incontro segnala che l’opzione è ancora sul tavolo, come peraltro accennato anche dal presidente Usa che, rispondendo a un cronista dopo il colloquio con Orbán, ha dichiarato: “C’è sempre una possibilità. Vorrei che si tenesse in Ungheria, a Budapest”. Accenno aleatorio, ma è alquanto ovvio che il summit con il primo ministro ungherese verteva su tale eventualità.

Un’eventualità che la rinnovata corsa al nucleare – con Trump che ha dato ordine di riprendere i test e la Russia che ha risposto prontamente con una misura analoga – più che allontanare, approssima. Lo spauracchio della guerra atomica è brandito proprio per rendere più digeribile all’opinione pubblica un vertice che dissolva la paura della guerra termonucleare.
A margine, l’incontro serviva allo stesso Orbán, che ha cercato e trovato una sponda americana per far fronte alla pressione della Ue, la cui irritazione per la sua posizione nei confronti della Russia e della guerra ucraina gli sta causando non pochi problemi.

Nel suo viaggio oltreoceano ha spuntato da Trump un’esenzione annuale dalle sanzioni per l’acquisto del gas russo, con il tycoon che peraltro lo ha elogiato non poco: un altro modo per polemizzare con la Ue, con la quale il presidente Usa ha ingaggiato un vero e proprio duello sottotraccia, che a volte si accende di improvvise escalation.

D’altronde, ormai la leadership Ue è subordinata a neocon e ai liberal americani che…


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🇺🇦 UCRAINA: LE INCHIESTE SUI LEADER, IL DISASTRO INCOMBENTE, LE DISERZIONI

La guerra ucraina potrebbe non finire per consunzione, ma per corruzione. Più un auspicio che altro, che però discende da un fatto dirompente: l’inchiesta che sta agitando i vertici della leadership ucraina e che lambisce lo stesso Zelensky e che, se non sarà insabbiata, potrebbe dar luogo a sviluppi imprevedibili.

Si tratta di una delle tante inchieste per corruzione che in questi anni hanno posto fine a carriere e ristretto politici, funzionari e militari nelle patrie galere, ma che stavolta interessa “Timur Mindich, stretto collaboratore del presidente, descritto dai media come il supervisore per le politiche energetiche di Volodymyr Zelensky”.

Ne riferisce Strana raccontando l’inchiesta della NABU, l’ufficio preposto alla corruttela poilitica, che finora è corsa sottotraccia e che Zelensky aveva tentato di insabbiare ponendo la NABU sotto la sua giurisdizione e fallendo nel tentativo. Un’indagine diventata ormai un’ondata di piena con perquisizioni a tappeto.

Anche se l’indagato eccellente, Mindich, ha avuto il tempo di rifugiarsi all’estero, gli inquirenti, come comunicato della SABU, hanno nelle loro mani “1.000 ore di registrazioni audio” accumulate in “15 mesi di lavoro”. Non è azzardato immaginare che nelle intercettazioni vi siano anche le conversazioni tra Mindich e il presidente.

Un altro fronte di fibrillazione per la leadership ucraina riguarda il sabotaggio del Nord Stream 2. Il Wall Street Journal riferisce i risultati dell’inchiesta tedesca, secondo la quale l’ordine fu dato da Zelensky e portato a segno da Valeriy Zaluzhny, allora comandante dell’esercito di Kiev, il quale avrebbe disobbedito alla Cia che…


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WITKOFF E KUSHNER IN ISRAELE. LA COSIDDETTA TREGUA DI GAZA E I POGROM IN CISGIORDANIA

Gli inviati Usa Steve Witkoff e (l’improbabile) Jared Kushner sono volati a Tel Aviv per un incontro con Netanyahu: a tema il destino dei miliziani di Hamas intrappolati nei tunnel che corrono sotto la parte di Gaza controllata da Israele e altre questioni riguardanti la cosiddetta tregua (violata impunemente da Israele: 241 i palestinesi uccisi da quando è entrata in vigore).

In attesa di chiarimenti su altro, in particolare sulla possibilità che la responsabilità degli aiuti diretti alla Striscia passi da Israele agli Usa (come ventilato da diversi media), la querelle più urgente sembra quella dei combattenti di Hamas, per i quali la dirigenza del gruppo islamico e i mediatori hanno avanzato una proposta perché gli sia consentito di esfiltrare incolumi.

Questione relativa rispetto alla tragedia che si sta consumando in questo angolo di mondo, ma che ha una sua rilevanza nell’ambito della tenuta-prosecuzione del cosiddetto cessate il fuoco, dal momento che la soluzione di tale impasse permetterebbe di togliere dal tavolo una pietra d’inciampo.

Il rischio è che i miliziani, portati alla disperazione, escano dai tunnel con successivo ingaggio con i militi dell’IDF: anche il cosiddetto cessate il fuoco cadrebbe e riprenderebbe la mattanza in grande stile.
Secondo un’indiscrezione del media israeliano Walla, “Washington ha promesso ai terroristi di Hamas un passaggio sicuro in cambio della restituzione di un ostaggio deceduto…


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🇵🇸🇵🇸🇵🇸 GAZA: SI LAVORA ALLA TRAGICA "BONANZA" VAGHEGGIATA DA SMOTRICH

Israele e Stati Uniti hanno predisposto un piano per iniziare la ricostruzione di parte di Gaza, quella attualmente sotto il controllo dell’IDF, cioè il 58% del totale. In tale area verrebbero edificate le cosiddette Comunità Sicure Alternative, alle quali potranno accedere solo i gazawi che supereranno uno screening che escluda legami con Hamas.

Quelli che supereranno l’esame di purezza avranno casa e servizi assicurati, così almeno predispone il piano (dubitarne è lecito), ma gli sarà impossibile fare ritorno nella zona di Gaza a oggi ancora controllata da Hamas.

Lo rivela Haaretz ed è qualcosa di mostruosamente reale, infatti prosegue: “Secondo quanto riportato da The Atlantic, il tenente generale statunitense Patrick Frank, a capo del Centro di coordinamento civile-militare (CMCC) di Kiryat Gat in Israele [che sta supervisionando il cosiddetto cessate il fuoco ndr], ha recentemente inviato un’e-mail ai suoi colleghi sottolineando l’urgenza di portare avanti il piano”.

Nel desrivere i colloqui su tale prospettiva che s’intrecciano tra Medio oriente e Stati Uniti, Haaretz annota che tutto ciò ricorda il piano annunciato a luglio dal ministro della Difesa Israel Katz, che prevedeva la creazione di una “città umanitaria” a Rafah, “dove sarebbe stata concentrata la popolazione della Striscia di Gaza”. Non per nulla il progetto pilota per la prima Comunità Sicura Alternativa sarebbe proprio a Rafah.

Non si tratta di uno sviluppo dell’intesa originale, quella proposta da Usa e Israele e accettata da Hamas, secondo la quale la governance della Striscia sarebbe stata affidata a un’autorità formata da tecnocrati palestinesi e la sua sicurezza a una forza di stabilizzazione internazionale, ma di una…


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🇺🇦🇺🇦 SCONFITTE, INCHIESTE: LO TSUNAMI CHE STA DEVASTANDO L'UCRAINA

L’inchiesta sulla corruzione delle alte sfere ucraine si surriscalda, causando le prime dimissioni eccellenti. Il cerchio di stringe attorno a Zelensky e, nonostante ostenti sicurezza, la sua preoccupazione è palesata da un piccolo ma simbolico particolare: due giorni fa, per la prima volta, non ha tenuto il solito discorso serale, con il quale è solito arringare i suoi concittadini sulle magnifiche sorti e progressive del Paese, prossimo a vincere la guerra…

E mentre Zelensky sta cercando di parare i colpi della magistratura, le forze russe entrano in massa a  Pokrovs’k e le truppe ucraine sono costrette ad arretrare in tutta fretta anche nell’area di Zaporizhia.

È uno tsunami, ma nessuno, né a Kiev né in Europa, ne prende atto. La guerra è persa e non sarà il ricorso agli attacchi in profondità nel territorio russo a cambiare le carte in tavola. Né a nulla portano le provocazioni per ampliare la portata della guerra, che si sono succedute senza successo dal suo inizio e arricchite, in questi ultimi giorni, col tentativo di corrompere un pilota russo per attaccare col suo areo un base Nato.

Certo, ad accusare Kiev e Londra di aver pianificato questa false flag sono i russi, quindi una parte. Eppure, anche un articolo più che prudente del Corriere della Sera deve concludere ricordando che c’è un precedente, quando nell’agosto del 2023 il pilota…


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🇵🇸🇵🇸🇵🇸 GAZA: L'INGEGNERIA DELLA FAME

…sulla fame che ha imperversato e imperversa a Gaza, un documentato studio pubblicato su Springer Nature, una casa editrice accademica anglo-tedesca, dal titolo “l’ingegneria della fame a Gaza“.

Nell’abstract della pubblicazione si riferisce che tale studio “dimostra che la fame a Gaza non è una conseguenza indesiderata della guerra, ma un risultato deliberatamente progettato, reso possibile da tecnologie avanzate e una pianificazione sistematica”.

Lo studio rileva che “sistemi di puntamento assistiti dall’intelligenza artificiale, attacchi di droni di precisione e sorveglianza sono stati impiegati per smantellare le infrastrutture alimentari a ogni livello, dai terreni agricoli alla pesca fino a panifici, mulini e magazzini, paralizzando l’intera filiera alimentare di Gaza”.

“Gli aiuti umanitari sono ostacolati dalla sorveglianza biometrica, dal targeting dei convogli e dai ripetuti attacchi contro organizzazioni affidabili come l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), mentre controverse fondazioni allineate allo Stato [israeliano] vengono scientemente rafforzate”….


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TRUMP E LA GRAZIA A NETANYAHU

…”E così arriviamo alla grazia. Trump non sta cercando di aiutare un amico in difficoltà. Sta tentando di progettare una riconciliazione funzionale tra i Bibi-isti e i ‘non-Bibi-isti’ – non basata su emozioni o ideologie – per formare un governo senza l’estrema destra che potrebbe promuovere la pace con i palestinesi”.

“Così come ha capito che gli ostaggi non erano più una risorsa per Hamas, ma piuttosto una scusa per Israele per continuare la guerra, ha capito che il processo a Netanyahu non è più solo una risorsa politica dell’opposizione israeliana, ma un peso per l’intero sistema”.

“Non perché una condanna sia imminente o perché il processo stia rubando tempo prezioso a Netanyahu, ma perché il processo ha limitato il suo margine di manovra politica e lo sta consegnando all’estrema destra”.

“[…] Trump sta offrendo il suo appoggio presidenziale e il suo patrocinio internazionale, mediando con l’opposizione e fornendo spunto narrativo per un ‘cambio di direzione’, per aiutare Netanyahu a rompere la sua dipendenza dagli estremisti di destra. La grazia non è un favore personale a Netanyahu, ma…


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🇵🇸🇵🇸🇵🇸 CISGIORDANIA: L'ORRORE ATTUALE E LA CATASTROFE INCOMBENTE

La violenza che si sta abbattendo sulla Cisgiordania inizia a emergere sui media, sia perché il genocidio di Gaza fa meno notizia, sia perché l’aggressività israeliana verso i palestinesi in parte (e solo in parte) sedata a Gaza, si sta riversando con più accanimento di prima in Cisgiordania.

Infine, è la stagione del raccolto delle olive, che per i palestinesi è vitale per la sussistenza, e le aggressioni hanno lo scopo di impedirne la raccolta. Non è certo un caso che “il raccolto delle olive di quest’anno non supererà le 10.000 tonnellate, meno di un decimo della media dell’ultimo decennio”, come recita un sottotitolo di Haaretz.

Alla violenza dei coloni in Cisgiordania è dedicato l’editoriale di ieri di Haaretz. Riportiamo: “Anche se in realtà si tratta solo di una minoranza, poche decine di coloni ebrei [in realtà, centinaia ndr] che stanno distruggendo uliveti, aggredendone i coltivatori, incendiando case, automobili e moschee e cacciando le comunità dalle loro case, il loro operato è impressionante”.

“L’esercito ha registrato in media più di due attacchi al giorno; più di otto al giorno in ottobre; mentre secondo un’analisi approfondita dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari sono stati più di quattro al giorno nel periodo dal 4 al 10 novembre e circa 15 al giorno secondo i dati del Dipartimento per gli affari negoziali dell’OLP”.

“Quest’ultimo elenco, a differenza di quello dell’agenzia delle Nazioni Unite, non comprende solo gli attacchi che hanno provocato vittime, il furto di olive o rami segati. Il fatto è che, per i palestinesi, anche una marcia minacciosa di pochi israeliani armati e mascherati, con al seguito una mandria di mucche e un fuoristrada, diretta verso una sorgente, un boschetto o un accampamento di tende palestinesi, o nei pressi delle case che sorgono nelle periferie di una comunità, rappresenta una terrificante aggressione. Lo scopo, come quello degli attacchi sanguinari, è quello di sfrattare le persone dalle loro terre perché vi si eriga un altro orgoglioso insediamento ebraico”.

“Definire questi casi anomali e marginali è una sfacciata menzogna…


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🇮🇱🇺🇸🇮🇱🇺🇸🇮🇱🇺🇸 ISRAELE E LA GUERRA NEL CUORE DELL'IMPERO

Qualcosa di grosso sta succedendo negli States e non è solo l’elezione di Mamdami a sindaco di New York, pure impensabile solo qualche mese fa avendo contro tanta comunità ebraica americana e tanti miliardari. Qualcosa che può essere identificata come una vera  propria rivolta contro l’Israel First, secondo una precipua definizione di The American Conservative.

Se la rivolta nel partito democratico si disvela nell’ascesa di figure socialiste come Mamdami – un socialismo americano, nulla a che vedere con la sinistra europea – che ieri ha visto la vittoria a Seattle di un altro sindaco che si dice “socialista”, molto più interessante appare quanto accade nel partito repubblicano.

In questo ambito è ormai guerra aperta tra movimento Maga e l’establishment neocon, conflitto che verte sulla sudditanza Usa a Israele e sulla morsa dello Stato profondo su Trump. Uno scontro nel quale sta uscendo fuori di tutto. E qui le cose si fanno davvero interessanti.

A guidare la rivolta, a parte alcuni esponenti politici del mondo Maga, alcuni influencer più seguiti del New York Times e del Washington Post messi assieme, un fenomeno tutto americano che è un po’ il prosieguo delle figure immortalate nei film anni ’70 e ’80 che vedevano il solitario speaker radiofonico denunciare le malefatte del sistema.

Se in precedenza il marchio di complottismo – termine diventato d’uso comune dopo l’omicidio di JFK, brandito per marginalizzare quanti si interpellavano sul crimine – bastava a marginalizzare le voci critiche, ora non basta più. Anche perché si tratta di un mondo variegato, con ognuno di essi che vive di vita propria e che però, nelle differenze di interessi e di approccio, si spalleggiano, essendo consapevoli che da singoli non durerebbero molto.

Un mondo magmatico che va da Tucker Carlson ad Alex Jones, da Candace Owens a Magyn Kelly fino a Max Blumenthal, per citare i più noti, e che inizia a far paura al governo israeliano, che ha lanciato una campagna di influenza negli States a suon di milioni di dollari, temendo tra le altre cose di perdere la presa sugli…


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Forwarded from InsideOver
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Di Gaza non si parla più.

Non ci si arrabbia più per questo popolo massacrato, affamato, indebolito ma non piegato.

Per il mondo la tregua regge, e tanto basta per disaffezionarsi alle sofferenze del popolo palestinese.

Ma può una tregua può contare 245 morti in un mese, più di 600 feriti, e aiuti umanitari bloccati o che entrano col contagocce?

Eppure lo leggiamo ovunque: “Un mese senza guerra”.

In realtà, il genocidio di Israele non si è mai fermato — ha solo cambiato strategia.

Israele continua ad attaccare, ad affamare, a violentare, a umiliare il popolo della Striscia.

Per il mondo, forse, parlare di Gaza non è più “di moda”.

Per noi sì.

In questi due anni dei genocidio, ci hanno detto che a Gaza sono tutti combattenti, quante volte la propaganda israeliana lo ha ripetuto.

Sì è vero. A Gaza sono tutti combattenti, ma come scrive Elassy, scrittrice palestinese, “siamo tutti combattenti perché osiamo restare umani.”
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🇻🇪🇻🇪 VENEZUELA: L'ULTIMO ANELLO DI UNA CATENA DI GUERRE SANGUINARIE

La tensione tra Stati Uniti e Venezuela resta altissima, anche se Trump domenica ha aperto uno spiraglio inatteso alla diplomazia affermando: “Potremmo dialogare con Nicolás Maduro”. Apertura arrivata mentre la portaerei nucleare USS Gerald R. Ford entrava nel Mar dei Caraibi per aumentare la pressione sul governo venezuelano.

A ciò si aggiunge la mossa di Marco Rubio: la designazione del cosiddetto “Cartel de los Soles” come “organizzazione terroristica straniera” , provvedimento che punta a colpire le finanze della cerchia di Maduro e ad alzare ulteriormente il livello dello scontro.

Così le parole di Trump non bastano a dissipare il timore che Washington stia riproponendo, punto per punto, il vecchio copione dei regime change.

Per decenni, gli Stati Uniti hanno propagandato al mondo un’idea tanto seducente quanto letale: che i regime change siano un’operazione militare soft foriera di libertà. Che bombardamenti, invasioni e sanzioni possano far germogliare democrazia e diritti. Ma chi ha vissuto quel processo sulla propria pelle conosce la realtà che sottende: morte, distruzione, destabilizzazione duratura.

E ora quel copione, logoro, ma mai archiviato, sembra tornare in scena in Venezuela, primo passo di un domino che mira a subordinare l’intero Sud America agli States, come spiega il senatore Rand Paul su Responsible Statecraft.

A conferma del disastro incombente, un dettaglio segnalato dal Guardian: nel Mar dei Caraibi è stata inviata il 160° SOAR, un’unità di élite americana, la stessa che in Iraq operò insieme alla famigerata Wolf Brigade, una milizia irachena addestrata dagli USA che operava secondo il modello degli squadroni della morte delle dittature latinoamericane.

Antiwar ricorda quel che scrisse allora un ufficiale di questa unità d’élite dopo un…


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GAZA E UCRAINA: A ISTANBUL SFUMA LA DE-ESCALATION

Oggi poteva essere un giorno cruciale per i destini del mondo. Steve Witkoff avrebbe dovuto recarsi a Istanbul per incontrare una delegazione ucraina di alto profilo e il capo di Hamas Khalil al-Hayya, due incontri paralleli sulle crisi che più affliggono il modo, ma all’ultimo minuto ha disertato, mandando a vuoto l’occasione.

Non sappiamo cosa sia successo per vanificare il lungo lavorio dell’uomo di fiducia di Trump, sappiamo però quanto riporta Axios, cioè che quando Kirill Dmitriev, l’uomo di fiducia di Putin, si era recato negli States a fine ottobre i due avevano lavorato a un piano per porre fine alla guerra ucraina.

Il dialogo tra Russia e Stati Uniti era proseguito sottotraccia nei giorni seguenti e lunedì Witkoff si è incontrato a Miami con il Consigliere per la Sicurezza nazionale ucraino Rustem Umerov, la figura di Kiev più aperta ai negoziati, per concordare un vertice con la leadership ucraina da tenersi a Istanbul.

Secondo Politico, Witkoff avrebbe dovuto prospettare a Kiev un piano di pace già fatto, che gli ucraini avrebbero dovuto semplicemente sottoscrivere. È evidente che il successivo passaggio a Mosca avrebbe visto Putin accogliere il piano americano ascrivendo il successo al suo omologo statunitense, gloria alla quale Trump più aspira.

In parallelo, Witkoff doveva dialogare con Khalil al-Hayya, il leader di Hamas, col quale avrebbe dovuto…


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🇵🇸🇱🇧🇵🇸🇱🇧 ISRAELE RILANCIA: LE STRAGI A GAZA E IN LIBANO

Due giorni fa l’ennesimo attacco aereo israeliano su un compo profughi nel Sud del Libano, 13 i morti; ieri l’ennesimo bombardamento su Gaza, 23 i morti, 17 dei quali donne e bambini. Tutto ciò nonostante su entrambi i fronti viga la tregua.

Le ripetute violazioni del cessate il fuoco da parte dell’IDF non hanno suscitato nessuna reazione da parte dei leader occidentali, come se la parola tregua abbia tacitato tutto, come se i morti e i feriti, che a Gaza non possono neanche accedere a cure vere e proprie date le restrizioni e la devastazione del sistema sanitario, siano qualcosa che non meriti nessuna attenzione. Israele ha accettato il cessate il fuoco e questo basta. Sotto questo ombrello tutto si può derubricare a quisquilia.

Questo prolungato silenzio, inaccettabile come le bombe israeliane, fa sì che Tel Aviv continui a percepire che tutto gli è permesso esattamente come accadeva durante i due anni di genocidio conclamato. Da cui anche la possibilità di alzare la posta come sta accadendo in questi ultimi giorni nei quali gli attacchi dell’IDF sono diventati più massivi. Senza un freno, si tornerà ai ritmi della macelleria pregressa, che mieteva cento vittime al giorno.

Le motivazioni di questa duplice escalation sono diverse, anche se con un punto di convergenza. La strage nel Paese dei cedri serve a far pressione su Beirut perché accolga il diktat israelo-americano a disarmare Hezbollah, pressione esercitata con brutalità dall’inviato di Washington per il Medio oriente Tom Barrak, ancora al suo posto nonostante …


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🇮🇷🇺🇸🇮🇷🇺🇸🇮🇷🇺🇸 MOHAMED BIN SALMAN HA CONSEGNATO A TRUMP UN MESSAGGIO DELL'IRAN

Della visita del principe ereditario saudita Mohamed bin Salman negli Stati Uniti si è parlato e scritto molto per quanto riguarda gli accordi commerciali di portata stellare che sono stati raggiunti, in particolare sullo sviluppo delle centrali nucleari saudite, ma in realtà era cosa ovvia e che si situa nel solco della lunga storia del rapporto tra i due Paesi.

Dello stesso tenore l’intesa sulla sicurezza strategica siglata nell’occasione e condita da Trump con la solita retorica roboante. Nel caso specifico si trattava di rassicurare l’alleato dopo il proditorio attacco di Israele al Qatar, che ha spaventato tutti i Paesi del Medio oriente. Insomma, un atto dovuto. Se poi tutti questi accordi distoglieranno Riad dall’orbita Brics è altra cosa, ma non è materia di discussione in questo momento.

In realtà, l’importanza della visita risiede in altro. Anzitutto nell’esaltazione che ne ha fatto Trump, che di fatto sminuisce, relativamente ovvio, l’importanza di Israele per gli Stati Uniti. Un dato segnalato anche dalla vendita degli F-35 a Riad, che da tempo li richiedeva scontrantosi con i veti di Israele che vuole rimanere il sovrano incontrastato dei cieli mediorientali.

Stavolta il veto non ha funzionato e Tel Aviv non ha nascosto la propria frustrazione. Non è tanto la vendita in sé ad aver disturbato gli analisti israeliani, i quali hanno rassicurato sul fatto che la loro superiorità aerea non è in discussione (ma un vulnus in tal senso c’è, eccome), quanto il fatto che Trump abbia ignorato il loro niet.

Non solo, Trump ha evitato di…

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🇺🇦🇺🇸🇷🇺 LA PACE IN UCRAINA E LE LOTTE DI POTERE INTERNE

Il piano di pace degli Stati Uniti è stato disvelato e ha scandalizzato tanti perché prevede la cessione di parte dei territori ucraini, cessione che, a meno che la guerra non evolva in conflitto nucleare, è destino manifesto, da cui la pretestuosità dello scandalo.

La Ue è entrata in fibrillazione e ha preteso di essere coinvolta nei negoziati, come accaduto nella trattativa precedente imbastita da Trump, affondata proprio a seguito di tale coinvolgimento che ha il solo scopo di sabotare le possibilità di un accordo, come da dogma delle guerre infinite proprio della religione liberal-neocon alla quale la leadership europea si è consegnata.

L’idea sottesa a tale linea guida è quella di tenere la Russia impegnata nel conflitto, impedendogli una vittoria strategica e per limitarne la libertà di manovra nell’agone globale. Ciò si aggiunge, ovviamente, alla speranza di logorarne le risorse, prospettiva che appare sempre più aleatoria perché, anzi, tale ossessione sta logorando il Vecchio continente.

Nonostante sia saltato l’incontro di Istanbul tra l’inviato Usa Steve Witkoff e la delegazione ucraina, Trump insiste nella sua pressione perché Kiev accetti il suo piano, come dichiarato da una fonte impegnata in questo pressing a RBC-Ucraina: “Se avete osservato il presidente Trump, avrete capito che…


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🇸🇴🇸🇴🇸🇴🇸🇴 SOMALIA: QUANDO WASHINGTON CREA I NEMICI DA COMBATTERE

Ieri gli Stati Uniti hanno lanciato una serie di attacchi sulla Somalia, che si sommano ai tanti precedenti (il 10 novembre Antiwar ne annoverava 90 solo dall’inizio dell’anno). Un orrore sottaciuto, che da oltre due decenni miete vittime inutilmente, ché proseguire questa campagna, come annota Joseph Solis-Mullen del Libertarian Institute, è trattato “quasi come un’inevitabilità burocratica: una politica in cerca di una giustificazione, difesa per abitudine piuttosto che per necessità. Perché non c’è nessuna ragione razionale per cui gli Stati Uniti debbano bombardare la Somalia”.

“Tutta questa intrapresa rappresenta un esempio da manuale di come l’inerzia, l’interesse personale e delle istituzioni oltre agli incentivi perversi della burocrazia che alligna nella sicurezza nazionale si combinino per produrre politiche distruttive che non portano alcun beneficio al popolo americano” e soprattutto ai bombardati, si può aggiungere.

Ciò perché, anzitutto, “le origini dell’attuale conflitto non risiedono in antichi odi o in qualche inevitabile lotta di potere africana, ma nelle azioni stesse di Washington. Al-Shabaab, l’organizzazione che gli Stati Uniti dicono di combattere, è un prodotto diretto della politica statunitense”.

“All’inizio degli anni 2000, la Somalia godeva di una relativa stabilità grazie all’Unione delle Corti Islamiche (ICU), una coalizione di autorità locali che era riuscita a ridurre la violenza e a imporre un minimo di ordine in un Paese devastato da decenni di conflitti civili”.

“Dal momento che l’ICU comprendeva ovviamente elementi islamisti, Washington – reduce dalla sua visione manichea del mondo post-11 settembre – lo percepì come una minaccia. Così l’amministrazione di George W. Bush incoraggiò e sostenne l’invasione della Somalia da parte dell’Etiopia nel 2006 per rovesciare l’ICU”.

“Il risultato era prevedibile…


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GLI USA A KIEV: «QUESTA MERDA DEVE FINIRE»

»Perdere la dignità o un alleato chiave: questo il passaggio chiave del discorso di Zelensky di ieri, messo alle strette dall’ultimatum di Washington che ha minacciato di non fornire più armi e intelligence all’Ucraina se non cede (ultimatum imposto dopo il fallimento del recente summit di Istanbul).

In realtà, brandire la dignità da parte di Zelensky non è stata una grande trovata, basta osservare quanto emerso dalle recenti inchieste che fotografano una leadership politica che si arricchisce in modalità scandalose – peraltro sono soldi Ue e Usa – mentre manda i suoi cittadini al massacro.

Né è una parola che si attaglia alla tragica situazione del Paese, che più che di richiami ideali ha bisogno di pragmatismo per porre fine alla macelleria nella quale è stato trascinato proprio da tale idealismo del tutto avulso dalla realtà: la dura e semplice realtà che Kiev non poteva e non può vincere la guerra contro la Russia, anche con il sostegno della Nato, come avevano messo in guardia fin dall’inizio del conflitto i pochi analisti onesti/realisti in giro per l’Occidente.

Così veniamo all’altra parola magica brandita da quanti si oppongono al piano di pace made in Usa: “capitolazione”. Parola strillata ieri…


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Forwarded from InsideOver
Gli Stati Uniti hanno superato una soglia inquietante: con gli ultimi raid nel Puntland, il numero dei bombardamenti effettuati quest’anno in Somalia ha raggiunto quota almeno 100.

AFRICOM ha annunciato negli ultimi giorni “una serie” di attacchi senza fornire ulteriori dettagli, limitandosi a dichiarare che “non saranno diffusi dettagli specifici su unità e mezzi impiegati per garantire la sicurezza operativa delle missioni”.

Da mesi il comando non comunica più stime su eventuali vittime civili. Solo nell’ultimo attacco secondo fonti locali i civili uccisi sono 12, di cui almeno 8 bambini.

Joseph Solis-Mullen, del Libertarian Institute, definisce questa lunga campagna militare il simbolo di "una politica in cerca di una giustificazione, difesa per abitudine più che per necessità. Perché non c’è nessuna ragione razionale per cui gli Stati Uniti debbano bombardare la Somalia”.

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