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a cura di Davide Malacaria
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🇵🇸🇵🇸🇵🇸 L'ANNESSIONE DELLA CISGIORDANIA, IL SILENZIO DEL MONDO

Mentre iniziava l’attacco alzo zero a Gaza nel post 7 ottobre, “un altro fronte di guerra si apriva silenziosamente. Non con attacchi aerei o artiglieria, ma con bulldozer, leggi e milizie di coloni. Mentre le bombe polverizzavano Gaza, la Cisgiordania occupata si incendiava in un fuoco diverso: quello delle espulsioni sistematiche, delle espropriazioni violente e dell’annessione legalizzata”. Così su The Cradle.

“Questa guerra non fa notizia né fa tendenza sui social media […] Ma le sue conseguenze potrebbero rivelarsi ancora più durature. Sotto la copertura della devastazione di Gaza, Israele ha accelerato una campagna pianificata da tempo per smembrare con la forza la Cisgiordania occupata, distruggere la vita agricola palestinese e cancellare ogni prospettiva di uno Stato palestinese sovrano”.

“I suoi strumenti sono sia brutali che burocratici: coloni armati, sottrazione dell’acqua, decreti su siti archeologici, strangolamento economico e la neutralizzazione politica di ciò che resta dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP)”.
“Gli attacchi dei coloni contro i palestinesi non sono più casuali o arbitrari […] questa violenza è diventata un’estensione semi-ufficiale dello Stato israeliano tramite paramilitari. Gruppi armati di coloni operano in pieno coordinamento con l’esercito di occupazione, agendo come esecutori di una politica volta allo sfollamento forzato”.

“Nelle aree B e C della Cisgiordania occupata, i contadini e gli abitanti dei villaggi palestinesi sono braccati da queste milizie, che irrompono nelle case, distruggono i pannelli solari, avvelenano i…


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🇧🇪🇧🇪🇧🇪🇺🇦 GLI ASSET RUSSI CHE L'UE VUOLE IMMOLARE SULLA PILA FUNERARIA UCRAINA

“La grande farsa dell’Europa tardo-imperiale è che ogni volta che Bruxelles inciampa in un altro errore storico di sua stessa creazione cerca immediatamente una mano straniera a cui dare la colpa”. Così, la riluttanza del Belgio a usare gli asset russi congelati nella società Euroclear all’inizio della guerra ucraina per aiutare Kiev è stata ricondotta a un’indebita influenza russa e i leader belgi accusati di essere, al solito, risorse di Mosca. Lo ha fatto Politico, come annota Gerry Nolan sul Ron Paul Institute, che critica il relativo articolo e commenta: “In realtà, l’unica risorsa di cui la Russia aveva bisogno era l’arroganza della stessa UE”.

Infatti, continua Nolan il “Belgio ha semplicemente fatto l’impensabile: ha detto la verità […] L’UE sta cercando di orchestrare il più grande furto di beni di un Paese sovrano della storia moderna, un’incursione diretta alle riserve della Banca centrale russa”. E, a fronte del pressing Ue, il “Belgio ha posto l’unica domanda sensata rimasta in Europa: ‘Siete tutti completamente fuori di testa?'”.

Così il primo ministro belga Bart De Wever è dipinto come “eccentrico, impulsivo e instabile, le stesse etichette utilizzate solitamente quando qualcuno si rifiuta di inchinarsi al pilota automatico imperiale. Ma il vero scandalo è che Bruxelles si aspettava che firmasse la messa in crisi dell’ordine finanziario del dopoguerra per un’altra foto con Zelensky”.

“I politici possono nascondersi dietro spettacolari cene di vertice a base di scampi, ma la realtà giuridica è brutale: saccheggiare la banca centrale di un’altra nazione non è una banale ritorsione politica. È una dichiarazione di guerra finanziaria al mondo intero. Annullerebbe l’immunità nazionale, distruggerebbe la neutralità delle riserve e segnalerebbe immediatamente al Sud del mondo che i loro asset nelle banche dell’UE sono ostaggio degli spasmi emotivi dell’Unione”.

“Un atto, un tratto di penna sconsiderato, e l’euro crolla come valuta sicura, i capitali fuggono in Asia e l’Occidente perde l’ultimo pilastro funzionale del suo potere. Il Belgio ha visto il baratro, Bruxelles lo ha valutato come un (perverso) atto di fede morale”.
Tale furto, peraltro, innescherebbe le ritorsioni di Mosca, che sono…


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🇸🇾🇸🇾 LA SIRIA UN ANNO DOPO ASSAD: IL TERRORISTAN DELLA CIA

Un anno fa la caduta di Assad e l’ascesa al potere di al-Jolani, attuale presidente della Siria. Così Kevork Almassian sul Ron Paul Institute ricorda quel regime-change iniziato nel 2011. Una nota che spiega perché l’ex terrorista sia stato accolto a braccia aperte da Washington e dall’Occidente. “Cominciamo con la cronologia”, scrive, “perché già solo questa fa pensare che fin dall’inizio si è trattato di un’operazione di intelligence”.

“Abu Mohammed al-Jolani era in una prigione gestita dalla CIA in Iraq – Camp Bucca – insieme a un altro nome familiare: Abu Bakr al-Baghdadi. Entrambi furono rilasciati all’inizio del 2011. ‘Per una singolare coincidenza’ è proprio allora che inizia la guerra per il regime-change in Siria. Nel giro di poche settimane al-Baghdadi diventa il capo di quello che diventerà l’ISIS e al-Jolani attraversa il confine con la Siria per fondare Jabhat al-Nusra – ufficialmente la filiale di al-Qaeda nel mio Paese”.

Al-Jolani e la sua rete sono identificati come terroristi, c’è anche una taglia che pende sulla sua testa, ma “per oltre un decennio, mentre gli Stati Uniti radevano al suolo intere città in Iraq e Siria per combattere il ‘terrorismo’, per qualche oscuro motivo non hanno mai trovato il tempo o le coordinate per colpire seriamente al-Jolani o la sua struttura di comando”. Ciò perché al-Jolani combatteva “contro un governo che Washington aveva deciso che doveva scomparire: lo Stato siriano di Bashar al-Assad”.

Così, mentre al-Jolani e la sua rete iniziano a imperversare in Siria, ha inizio anche “l’Operazione Timber Sycamore: un programma segreto multimiliardario della CIA che ha fornito armi, denaro e addestramento ai cosiddetti ‘ribelli’ siriani. Questi sono stati spacciati all’opinione pubblica occidentale come ‘opposizione moderata’. Sul campo, quei moderati erano una specie in via di estinzione. Ciò che esisteva in realtà erano fazioni salafite-jihadiste fondamentaliste, con al Nusra al vertice della catena”.

“L’Esercito Siriano Libero (ESL) era la maschera, il logo sui documenti, il marchio che si poteva vendere al Congresso e alla CNN. La vera forza sul campo erano gli uomini di al-Jolani e gli altri gruppi takfiri, che combattevano sul serio, conquistavano territorio e imponevano il loro potere. Le armi andavano ‘ai moderati’ e i moderati le consegnavano magicamente ad al-Qaeda. Tutti a Washington fingevano sorpresa, ma…


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🇵🇸🇵🇸🇵🇸 HAARETZ: ISRAELE, IL GENOCIDIO E LA SANTIFICAZIONE DELLA MORTE

“Nello spinoso dibattito se il termine ‘genocidio’ si possa applicare alle politiche e alle azioni di Israele nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, i fatti chiave non sono in discussione. Certo, c’è una discussione statistica su quanti abitanti di Gaza siano stati uccisi e quanti abbiano perso casa, ma questo dibattito tecnico chiarisce in realtà la posizione di Israele. Stiamo discutendo se 70.000 persone uccise siano sufficienti a dimostrare un genocidio o se sia necessario un numero più alto”. Inizia così un articolo di Zvi Bar’el su Haaretz che collega quanto sta accadendo nella Striscia e in Cisgiordania alla repressione degli arabi-israeliani e di quanti difendono le loro ragioni, e la loro esistenza, all’interno di Israele.

“Ma questo conteggio – indipendentemente dal fatto che sia grande, piccolo o equivalente a un genocidio – nasconde una verità ancora più orribile”, continua Bar’el. “Una parte considerevole dell’opinione pubblica israeliana ritiene che l’uccisione e l’espulsione degli abitanti di Gaza siano giustificate e che, anche se ciò rientrasse nella definizione di genocidio, sia stato giusto perpetrarlo”.

“Fortunatamente, desiderare non attira nessuna punizione. Così gli israeliani possono continuare a sognare, felici, la scomparsa dei palestinesi non solo da Gaza, ma anche dalla Cisgiordania, da Gerusalemme Est e da Israele. Il pericolo che ciò comporta è che nel momento in cui il desiderio di annientare un’etnia e una nazione diventa legittimo, esso trova i canali attraverso i quali trasformarsi in realtà anche senza l’annientamento fisico”.

Quest’ultimo cenno fa riferimento “all’annientamento politico” della minoranza araba e alla “campagna di pulizia politica e culturale contro un’ampia fetta della società ebraica israeliana”, la cui leadership “è stata definita un nemico interno che, ‘per il bene dell’unità nazionale’, deve essere annientato”. Un processo che vede una stretta capillare contro gli arabi israeliani e quanti li sostengono, accettata più o meno da…


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🇻🇪🇻🇪🇻🇪 VENEZUELA. IL NOBEL PER LA PACE E L'ATTACCO USA ALLA PETROLIERA DI CARACAS

L’attacco alla petroliera venezuelana da parte degli Stati Uniti segna un’ulteriore escalation contro Caracas. Abbiamo usato il termine attacco perché di questo si è trattato, non di un sequestro come da dichiarazioni ufficiali che hanno usato un termine proprio del linguaggio giuridico che attenua volutamente quanto avvenuto. Si tratta di una vera e propria aggressione, un atto di guerra.

Non sfugge che l’attacco è avvenuto in concomitanza con il ritiro da parte di Maria Corina Machado del premio Nobel della pace a lei inspiegabilmente – o spiegabilmente – assegnato dal Comitato norvegese preposto a questa sciarada sempre più politicizzata. Coincidenza temporale non certo casuale.

La cosiddetta leader dell’opposizione, una “risorsa” degli States, è sbarcata in Norvegia dopo aver lasciato indisturbata il suo Paese (nel quale è perseguita dalla magistratura) grazie all’ausilio americano, secondo le sue dichiarazioni nelle quali ha raccontato la sua fuga clandestina. Il ministro dell’Interno venezuelano ha invece affermato che i suoi movimenti erano noti al governo, che non l’ha fermata (di certo non poteva, sarebbe stato un casus belli).

Al di là della querelle, appare più che singolare quel che ha dichiarato la donna ai media norvegesi. Nel riportare le sue parole, il New York Times riferisce che la Machado ha evitato di sostenere un eventuale attacco di Washington – ovvio, scatenerebbe le ire dei suoi connazionali – ma ha applaudito a quanto ha fatto finora, plauso che quindi ricomprende tacitamente anche l’affondamento delle barche venezuelane e l’uccisione dei civili connessa (quasi cento).

In realtà, però, ha trovato un modo ingegnoso per sostenere implicitamente l’attacco, affermando che di fatto il Venezuela sarebbe già sotto attacco. Così, infatti, sul New York Times: “Il Venezuela è già stato invaso. Abbiamo agenti…

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🇵🇸🇵🇸🇵🇸 GAZA: COME SI PIANIFICA UN GENOCIDIO

“La più efficace manipolazione che Israele ha messo in atto negli ultimi due anni è stata quello di imporre dei parametri del tutto infondati al ‘dibattito’ che si è svolto in Occidente riguardo la credibilità del bilancio delle vittime di Gaza, che ora ufficialmente ammonta a poco più di 70.000”. Così Jonathan Cook su Consortium news.

“Non è solo che siamo rimasti impantanati in controversie senza fine sull’affidabilità delle autorità sanitarie di Gaza o su quanti di quei morti siano combattenti di Hamas (nonostante le campagne di disinformazione israeliane, l’esercito israeliano stesso ritiene che oltre l’80% dei morti siano civili); o che questi ‘dibattiti’ ignorino sempre il fatto che, fin dall’inizio, Israele ha distrutto la capacità di Gaza di contare i propri morti, distruggendo gli uffici governativi e gli ospedali dell’enclave, da cui discende che la cifra di 70.000 morti è probabilmente una drastica sottostima”.

“No, il trucco più grande è che Israele è riuscito a trascinarci tutti in un ‘dibattito’ completamente scollegato dalla realtà, che riguarda solo quelli che sono stati uccisi direttamente dalle sue bombe e dai colpi d’arma da fuoco. La verità è che un numero molto, molto più grande di persone di Gaza è stato ucciso volutamente da Israele non attraverso mezzi diretti, ma attraverso quelli che gli statistici chiamano mezzi ‘indiretti'”.

“Tutte queste persone sono state uccise da Israele, che ha distrutto le loro case e le ha lasciate senza riparo. Da Israele, che ha distrutto le loro risorse idriche, le infrastrutture elettriche e i sistemi igienico-sanitari. Da Israele, che ha raso al suolo i loro ospedali. Da Israele, che li ha fatti morire di fame. Da Israele, che ha creato le condizioni perfette per la diffusione delle malattie. L’elenco dei modi in cui Israele sta uccidendo le persone a Gaza è infinito”.

“Immaginate le vostre società devastate come Gaza. Per quanto tempo sopravviverebbero i vostri genitori anziani in questo inferno? Come se la caverebbe il tuo bambino diabetico o tua sorella con l’asma o tuo fratello con il cancro? Quanto facilmente ti ammaleresti di polmonite o di raffreddore se avessi consumato solo un pasto frugale al giorno per mesi e mesi? Come affronterebbe tua moglie un parto difficile se non ci fossero anestetici né un ospedale nelle vicinanze, o vi fosse un ospedale a malapena funzionante e sovraffollato dalle vittime dell’ultimo bombardamento israeliano?”…


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GLI ATTENTATI ALLA SINAGOGA AUSTRALIANA E ALL'UNIVERSITÀ USA: TORNA LA PAURA

Il Terrore rialza la testa. L’attacco parallelo alla sinagoga di Bondi Beach e quello alla Brown University, benché di natura differente, come probabilmente di altra estrazioni gli autori, hanno avuto un effetto cumulativo. Un’ondata di Paura ha travolto il mondo.

Diverso l’impatto dei due attentati a causa del numero delle vittime, 15 in Australia 2 negli Stati Uniti, ma i morti della Brown potevano essere molti di più dal momento che l’attentatore ha infierito in un’aula magna affollata di studenti; se il bilancio è stato limitato è solo perché qui le vittime predestinate erano tutte giovani, più atte alla fuga, e nell’Università in passato si erano svolte esercitazioni che prefiguravano eventualità del genere.

Infine, gli attentatori che hanno infierito in Australia hanno agito del tutto indisturbati, colpevolmente assenti le forze di polizia, e solo l’intervento di un passante islamico, che ha disarmato un attentatore, ha evitato lutti peggiori.

Come accennato, è ovvio che i due attentati hanno cause diverse, ma la ristretta cronologia degli eventi li collega necessariamente agli occhi degli osservatori e di quanti sono chiamati a contrastare il Terrore.

Se azzardiamo un parallelo tra i due eventi è anche per una nota della CNN, che lo ha fatto prima di noi, spiegando che entrambi gli attentati “presentavano i rituali ormai di routine delle sparatorie di massa, tra cui i filmati sincopati ripresi dai cellulari delle persone in fuga per salvarsi la vita. E due comunità che sono rimaste sconvolte dalla stessa incomprensibile realtà: la morte giunta all’improvviso a ghermire persone […] che svolgevano le usuali attività quotidiane”.

L’attacco alla sinagoga ha ovviamente portato…


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🇷🇺🇷🇺🇺🇦🇺🇦 UCRAINA: TRUMP DÀ A KIEV TEMPO FINO A NATALE PER DECIDERSI

Sembra che si sia rotto lo stallo dei negoziati sulla crisi ucraina. Al di là dei commenti enfatici di Trump, un mantra già sentito e smentito in precedenza, a conferma che qualcosa si sta muovendo sono le dichiarazioni dei tanti che hanno partecipato alle trattative, che fanno trapelare ottimismo.

Al di là degli aspetti secondari, più o meno tutti gli altri, l’unica vera querelle su cui tutto sta o crolla è il riconoscimento del controllo russo sui territori ucraini già conquistati e lo status di quelli che Mosca si era prefissata di conquistare, cioè la parte del Donbass ancora sotto la sovranità ucraina.

Mentre su quelli già conquistati Kiev, nonostante le rigidità, potrebbe cedere – d’altronde anche i “volenterosi” europei, dediti al sabotaggio delle trattative, avevano proposto un cessate il fuoco lungo la linea del fronte – sulla parte rimanente del Donbass non sembra cedere di un millimetro.

Prima di tornare su questo punto va esaminato il progresso compiuto in questi negoziati, un cedimento di Kiev che i media spacciano per grande passo avanti. Si tratta dell’adesione dell’Ucraina alla Nato, richiesta che finalmente Zelensky ha riposto nel cassetto.

In realtà, al di là dell’immaginazione di Zelensky, tale richiesta era da tempo diventata aleatoria, dal momento che anche i “volenterosi” europei si erano adeguati al niet statunitense, che della Nato è l’azionista di maggioranza. E, peraltro, già in precedenza tale richiesta era sempre stata accolta con enfatico entusiasmo dagli sponsor di Kiev, ma con altrettanto rigetto sostanziale.

Pur se i “volenterosi” non… 

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🇵🇸🇵🇸🇵🇸 LEVY: LA STRAGE DI BONDI BEACH E IL GENOCIDIO DEI PALESTINESI

Mentre il mondo era scosso dallo shock per il massacro alla sinagoga di Bondi Beach, a Gaza la gente continuava a morire di stenti, fame, malattie e colpita dai proiettili israeliani. “Tutti sono rimasti inorriditi per quanto accaduto” in Australia, scrive Gideon Levy su Haaretz. “Il massacro di Bondi meritava un tale shock globale. Ma lo shock è stato accompagnato da ipocrisia, cinismo e doppi standard. Su tutti, ovviamente, il primo ministro Benjamin Netanyahu, che si è affrettato ad attribuire la responsabilità del massacro al primo ministro australiano Anthony Albanese”.

“Netanyahu sa qualcosa sull’assumersi le responsabilità personali ed è per questo che si è affrettato ad accusare il suo omologo di aver osato riconoscere lo Stato palestinese; apparentemente, c’è un collegamento tra il vuoto riconoscimento di uno Stato immaginario e il massacro. Israele non perde mai l’occasione di generare capitale politico e propagandistico da ogni attacco terroristico”.

Quindi, dopo aver accennato alla velocità con cui un ministro israeliano si è recato ai funerali celebrati in Australia, velocità che stride con l’assenza dei rappresentanti del governo ai funerali degli israeliani vittime di questi due anni di conflitto, Levy ricorda le lamentele per la mancanza di un invito ufficiale da parte delle autorità australiane, commentando che, con tale lagnanza. “la sfrontatezza ha superato ogni limite”.

“Il momento comico è arrivato sotto forma dell’eroe australiano-siriano che ha salvato gli ebrei. Netanyahu ha persino provato a parlare di ‘eroismo ebraico’, finché non sono emerse le imbarazzanti informazioni sull’identità di Ahmed al-Ahmed e, per un attimo, tutte le affermazioni secondo cui tutti i musulmani e gli arabi del mondo sarebbero colpevoli di avere un istinto omicida innato sono state messe a tacere”.

“È possibile che ci sia un arabo che dimostra umanità e coraggio? Un altro castello…


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UCRAINA. SABOTARE IL NEGOZIATO, PREPARARE LA GRANDE GUERRA IN EUROPA

Il finanziamento di 90 miliardi della Ue per l’Ucraina segnala che la guerra deve proseguire. E probabilmente continuerà, dal momento che i leader Ue hanno carte per sabotare le trattative: basta inserire nel piano di pace di Trump condizioni che la Russia ritiene inaccettabili e il gioco è fatto. D’altronde le condizioni di Mosca sono note da anni.

Le trattative salterebbero senza mettersi contro l’America, in attesa che oltreoceano accada qualcosa che riporti gli States a riabbracciare la guerra per procura contro Mosca. Tante le opzioni per un riposizionamento Usa, a iniziare da un esito delle midterm che riporti in auge un Congresso pro-guerra; oppure che accada l’imponderabile.

Lo ha dichiarato apertamente Zelensky, che ha ripreso fiducia nei sui niet a Trump, tanto da arrivare a prefigurare che questi potrebbe morire. In un intervento al Consiglio europeo, infatti, dopo aver criticato gli Usa perché non comprendono quanto sia importante che l’Ucraina aderisca alla Nato, ha espresso fiducia sul fatto che la posizione di Washington possa cambiare, spiegando: “I politici cambiano, qualcuno può morire, così è la vita”.

Il fatto che il presidente ucraino minacci tanto apertamente Trump, seppur in maniera ovviamente implicita, la dice lunga sui rapporti di forza all’interno dell’Impero tra il partito della guerra e Trump e soci. Tale Forza, infatti, a Zelensky non è assicurata dalla debole Ue, quanto dai circoli americani iper-atlantisti.

Abbiamo scritto che quello della Ue è un finanziamento, ché la denominazione ufficiale, un prestito garantito dai costi di ricostruzione che saranno imposti ai russi, è ovviamente una boutade, meglio, una frode, perché tale garanzia non scatterà mai.
I soldi destinati all’Ucraina sono garantiti dalle tasche dei cittadini europei, che vedranno parte di questi investiti in fruttuosi water d’oro e amenità varie: nessuno, infatti, vigilerà sul flusso di denaro, basta osservare il disinteresse della leadership europea per la corruzione della dirigenza ucraina evidenziata dalle recenti inchieste.

Con questo finanziamento…


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L'OPA DI ISRAELE SUGLI EVANGELICALS AMERICANI

Oltre 1.000 pastori e influencer cristiani statunitensi si sono recati in Israele a metà del mese di dicembre: “il più numeroso gruppo di leader cristiani americani a visitare Israele dalla sua fondazione”, come annota Responsible Statecraft.

Nel pieno del periodo natalizio, prosegue RS, questi pastori hanno aderito a un’iniziativa pagata dal governo israeliano “per una visita di formazione atta a farne degli ambasciatori non ufficiali di Israele nelle loro comunità”.

Una vera e propria operazione politico-diplomatica. Un soggiorno di una settimana che ha portato uno degli ambiti più fedeli al trumpismo – l’elettorato evangelico – nel cuore della Cisgiordania occupata (che i partecipanti continuano a chiamare con i nomi biblici di Giudea e Samaria).

L’itinerario ha ricompreso momenti di preghiera collettiva nel sito archeologico di Shiloh, luogo simbolico per il sionismo religioso, identificato nella Bibbia come sito dedicato al Tabernacolo che custodiva l’Arca dell’Alleanza. In prima fila c’era Mike Evans, fondatore del Friends of Zion Museum di Gerusalemme ed ex membro del comitato consultivo evangelico di Donald Trump durante il suo primo mandato. Evans non ha mai nascosto il proprio ruolo di mediatore politico-religioso: si è attribuito il merito di aver contribuito all’ascesa politica di Benjamin Netanyahu e di aver mobilitato la base evangelica che ha portato Trump alla sua prima vittoria presidenziale.

Davanti ai leader religiosi riuniti, Evans ha chiesto una foto. Non una semplice immagine ricordo, ma – come suggerisce Haaretz – un messaggio politico destinato a Washington. L’obiettivo è chiaro: “avvertire la Casa Bianca che…


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🇷🇺🇷🇺🇺🇸🇺🇸🇺🇦🇺🇦 UMEROV ANNUNCIA NUOVI COLLOQUI USA-UCRAINA. QUALCOSA SI MUOVE

Le trattative sulla guerra ucraina stanno producendo qualche risultato, anche se nulla si sa dei contenuti. A segnalare che qualcosa si muove, al di là delle dichiarazioni ufficiali e dei report (vagamente ottimisti o decisamente pessimisti che siano), è il fatto che subito dopo l’incontro tra i mediatori americani e la delegazione russa guidata da Kirill Dmitriev (successivo al round negoziale Usa-Ucraina di venerdì scorso) Rustem Umerov, a capo della delegazione di Kiev, abbia annunciato un nuovo incontro con i mediatori statunitensi.

Il fatto che le trattative proseguano e che siano tanto serrate significa che le pressioni degli Usa su Kiev perché receda dalle sue posizioni, in particolare sull’irrealistica inviolabilità dell’integrità territoriale, stanno ottenendo qualcosa, un qualcosa su cui Mosca può ragionare in termini di compromesso (probabilmente si sta giocando su quanto territorio rimarrà sotto il controllo dei russi e in quale modalità, usando della variante “zona smilitarizzata”).

Un passo iniziale, dopo i passi falsi pregressi, che magari non porterà da nessuna parte, ma che rappresenta già qualcosa più di zero. Ad alimentare lo scetticismo il fatto che le forze di contrasto sono ancora forti, in America, dove i neocon non demordono, e nell’asservita Europa, mentre la leadership ucraina è dilaniata da scontri intestini che s’intersecano con le pressioni esterne e le inchieste della magistratura, fattori che determinano la posizione di Kiev rispetto alle trattative.

Su quest’ultimo punto val la pena riferire che secondo il Times di Londra Andrij Yermak, il potente capo staff di Zelensky, sarebbe ancora in contatto con Zelensky. In particolare, il media londinese riporta le dichiarazioni del deputato Oleksiy Goncharenko secondo il quale Yermak visita a Zelensky quasi ogni giorno, aggiungendo: “Certo, non ha più l’influenza di una volta, ma sta gradualmente iniziando a recuperarla”.

Il Times si rammarica della resilienza di Yermak, che impedirebbe a Kiev di sperare in una leadership più votata al bene della nazione, e ricorda che Zelensky, “nel suo primo anno da presidente, ha infranto le promesse elettorali nominando 15 persone con un passato da comici in posizioni di governo, nove dei quali sono stati poi licenziati”.

Mai il Times aveva accennato a queste risibili – nel senso letterale – nomine e colpisce l’acredine verso Zelensky, sempre trattato da eroe…


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1951: L'ATTENTATO ALLA SINAGOGA DI BAGHDAD CHE CAMBIÒ LA STORIA

“Il 4 gennaio 1951 una forte esplosione devastò la sinagoga Masouda Shem-Tov, nel cuore di Baghdad. ‘La sinagoga è stata bombardata da una casa vicina. Sono riuscito a fuggire con il resto della folla, circa 600-700 persone che sono fuggite in preda al panico’, raccontò Ezra Naim, un ebreo emigrato dall’Iraq, a un giornalista del Davar un paio di settimane dopo. La voce che circolava all’epoca tra gli ebrei di Baghdad era che degli emissari di Israele avessero lanciato la granata nella sinagoga. ‘Lo avevo sentito dire anche da poliziotti e funzionari governativi’, ha detto Naim. ‘Molti ebrei di Baghdad e di altre città sono (ora) chiusi nelle loro case, pregano molto e aspettano l’immigrazione'”.

“Il resoconto del 19 gennaio sul Davar fu sepolto in ultima pagina, quasi perso tra una miriade di altri articoli. Ma la possibilità che degli agenti israeliani avessero lanciato la granata nella sinagoga, uccidendo quattro persone e ferendone decine, nel corso degli anni ha fatto infuriare e tormentato molti immigrati dall’Iraq” in Israele.

“Sebbene le autorità irachene abbiano arrestato tre attivisti sionisti in seguito all’attacco, due dei quali furono giustiziati, lo Stato di Israele ha a lungo negato qualsiasi coinvolgimento nell’attentato, così come in altri quattro attacchi contro la comunità ebraica di Baghdad avvenuti tra il 1950 e il 1951”. Così Nirit Anderman su Haaretz del novembre scorso.

Gli ebrei di Baghdad non furono convinti da tali smetite continua la Anderman. “Anche dopo il loro arrivo in Israele, molti di essi sostennero per decenni che i responsabili di questa esplosione – un evento considerato il catalizzatore della grande ondata di immigrazione ebraica irachena in Israele durante l’Operazione Ezra e Neemia degli anni ’50 – fossero emissari dell’establishment israeliano piuttosto che dei nemici della comunità”.

“Israele avrebbe potuto facilmente dissipare la nebbia che circondava la querelle su chi avesse lanciato quella granata pubblicando le conclusioni delle inchieste ufficiali sull’attentato. Invece…


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FLORIDA: I SUMMIT PARALLELI SU UCRAINA E GAZA

In questi giorni a Miami gli incontri paralleli sulla guerra ucraina e sul destino di Gaza (nello specifico il summit Usa- Egitto-Qatar-Turchia), a conferma che si tratta di conflittualità che corrono in parallelo. Altro indizio in tal senso la visita, negli stessi giorni, del senatore Lindsey Graham (nella foto) in Israele, dove domenica ha incontrato Netanyahu.

Graham è ormai diventato il portavoce ufficiale dei neoconservatori, dopo John McCain e John Bolton (per citare gli ultimi), da cui l’importanza delle sue dichiarazioni votate, al solito, a incendiare il mondo.

Il senatore è una cartina di tornasole delle aspirazioni dei neoconservatori Usa, i cui cuori, sempre che ne abbiano uno, sono votati alla realizzazione della Grande Israele, della quale Netanyahu e il profeta.

Di interesse, quindi, l’intervista che ha rilasciato al Timesofisrael, nella quale ha dichiarato che Hamas non disarmerà né verrà disarmato dalla Forza di stabilizzazione internazionale che dovrebbe stanziarsi nella Striscia, per concludere: “Se non si disarmano in modo credibile, allora scatenate Israele contro di loro”, epilogo in realtà auspicato; inoltre, ha aggiunto che se è vero che l’Iran sta espandendo il suo programma missilistico e ripristinando il suo programma nucleare, “sarebbe nel nostro interesse nazionale colpirlo ora”.

Inutile aggiungere che ne aveva anche per Hezbollah: “Vorrei che gli Stati Uniti prendessero parte alle operazioni militari, con i suoi aerei, contro Hezbollah, se questo fosse necessario per eliminarli”.

Nello stesso giorno, le minacce alla Russia: ha esortato Trump a “sequestrare” le petroliere della sua flotta ombra e a emanare “sanzioni paralizzanti” contro i Paesi che la sostengono.

Insomma, Netanyahu e neocon rilanciano la loro…


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NATALE COL GENOCIDIO: LA CAMPAGNA RED CANDLE, LIGHT FOR PALESTINE

Natale triste per Gaza e per quanti nel mondo non chiudono gli occhi alla tragedia che vi si sta consumando. Un Natale con genocidio, che rinnova lo strazio per la strage degli innocenti che scandisce queste festività, a riprova che il male del mondo non nasce oggi, anche se il volto che ha manifestato nella Striscia ha pochi paragoni nella storia.

Orrori che non hanno fine. Gli aiuti continuano ad arrivare col contagocce e i medici di Gaza hanno lamentato che Israele non fa passare nemmeno i beni sanitari essenziali, condannando a morte persone. Mentre il freddo invernale continua a mordere le carni e a uccidere per assideramento e la pioggia a imperversare sulle tende tirate su alla buona.

Quando non sono i proiettili a ghermire vite, lo fanno gli stenti, il freddo, la fame, le malattie. E ora Tel Aviv ha emenato una direttiva che impedirà alle Ong non registrate in Israele di operare nella Striscia dopo la fine dell’anno….

In questo Natale tanto travagliato, che pure sollecita i cuori all’impensabile speranza, pubblichiamo ampi brani di uno scritto di Fares Abraham, nativo di Betlemme e fondatore di Levant Ministries, pubblicato su Middle east eye.
“Nella Grotta della Natività, due bambini palestinesi, Layna e Jivan, hanno acceso una candela rossa al posto della solita candela bianca, dando il via alla campagna Red Candle, un atto di solidarietà con le famiglie sofferenti di Betlemme, di Gaza e di tutta la Palestina”.

“Il momento era discreto, quasi nascosto, ma il simbolismo era inequivocabile: il mondo che canta di Betlemme ogni dicembre non sempre vede il luogo che conosciamo noi”…


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🇷🇺🇷🇺🇺🇸🇺🇸🇺🇦🇺🇦 UCRAINA: IL DIETROFRONT DELL'EUROPA E IL RILANCIO DEL TERRORE

“A mio parere, Putin non intende scatenare una guerra mondiale su vasta scala contro la NATO”. Così il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius. Dopo aver detto che la Germania deve essere pronta ad affrontare la Russia nel ’29, specificando: “Ci sono segnali premonitori, non si tratta solo di scenari astratti: la Russia si sta preparando per un’altra guerra” e che quella del 2025 potrebbe esser stata l’ultima estate pacifica dell’Europa, ha ritrattato.

Un segnale che, insieme ad altri, anzitutto l’apertura di Macron a un rinnovato dialogo con la Russia, indica che il pressing americano sull’Europa – che si è cristallizzato nel durissimo post di Tulsi Gabbard nel quale il Capo dell’intelligence nazionale accusava la leadership della Ue di “alimentare l’escalation bellica” per trascinare gli Usa in una “guerra diretta contro la Russia” – inizia ad aver ragione sulla follia dilagata nel Vecchio Continente in questi ultimi tempi.

Sono ancora segnali, non una convinzione consolidata, da cui la cautela riguardo le conseguenze sulle trattative di pace che negli ultimi giorni si sono fatte più serrate, altro segnale positivo. Ma gli attentati a Mosca, quello dl 22 dicembre che ha ucciso un generale e quello di ieri che ha ucciso due agenti della polizia stradale e un civile, indicano che il partito della guerra globale prosegue nella sua campagna.

Ma l’uso del Terrore più che una dimostrazione di forza appare un segnale di debolezza. Certo, il partito della guerra vuole dimostrare che può colpire impunemente nel cuore della Russia – e qui va specificato che l’intelligence ucraina non ha tali capacità, da cui il necessario ausilio di intelligence straniere – ma sperare che tali azioni dimostrino la debolezza di Mosca, e che quindi si può continuare la guerra perché non è ancora persa, o che la Paura induca i leader di Mosca o l’opinione pubblica russa ad addivenire a più miti consigli è semplicemente sciocco.

Né serve a prendere tempo, ché il tempo ormai per l’Ucraina si è fatto breve: il fronte si sta sfaldando a un ritmo sempre…


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