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a cura di Davide Malacaria
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🇵🇸🇵🇸🇵🇸 IL RICONOSCIMENTO DELLA PALESTINA TRA SIMBOLO E REALTÀ

“Il giorno in cui le Nazioni Unite hanno tenuto una conferenza ad alto livello sulla soluzione dei due Stati e 10 Paesi occidentali si sono aggiunti alla lunga lista dei Paesi che avevano già riconosciuto lo stato immaginario, la Alon Road era quasi priva di veicoli palestinesi. La maggior parte delle strade della Cisgiordania è ora bloccata da cancelli di ferro che vengono aperti e chiusi a piacimento dai comandanti dell’esercito israeliano”. Così inizia un articolo di Gideon Levy su Haaretz.

“Nel giorno in cui 159 stati riconoscevano lo Stato dei sogni, il pastore 81enne Sadek Farhana giaceva a casa, gemendo di dolore. Il giorno prima, i coloni lo avevano picchiato senza pietà […]”, rubandogli le pecore. “Suo nipote sedeva accanto a lui con la testa fasciata: anche lui era rimasto ferito nella rapina dei coloni. La polizia israeliana si è affrettata ad accusare falsamente i pastori palestinesi” di aver rubato agli aggressori…

“Nel giorno in cui il presidente francese celebrava la vittoria diplomatica, la realizzazione di uno Stato palestinese sembrava più lontana che mai. Mai come in questo momento il sogno di questo Stato è sembrato così scollegato dalla realtà. Al presidente dello Stato in divenire, Mahmoud Abbas, non è stato nemmeno permesso di recarsi negli Stati Uniti per partecipare alla conferenza che avrebbe discusso del suo Paese, una palese violazione dell’accordo stipulato con le Nazioni Unite da parte degli Stati Uniti”.

“Proprio in quel momento, l’uomo più ricercato dalla Corte Penale Internazionale, Benjamin Netanyahu, accusato di aver commesso crimini contro l’umanità, si stava preparando per il suo viaggio a New York. Il presidente dello Stato che ormai quasi tutto il mondo ‘riconosce’ partecipa all’Assemblea Generale tramite collegamento video, mentre il ricercato numero uno della CPI parlerà in aula dal podio”.

“Nel giorno in cui il mondo ha riconosciuto lo Stato palestinese, 61 persone sono state uccise a Gaza…


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🇺🇸🇷🇺🇺🇸🇷🇺🇺🇸🇷🇺 LA SVOLTA DI TRUMP SULL'UCRAINA È SOLO RETORICA

La svolta di Trump sul conflitto ucraino, a quanto pare, resta limitata alla retorica. In realtà, al di là delle roboanti critiche a Mosca, il nocciolo del discorso all’Onu era una presa di distanza dalla guerra con relativo scaricabarile sulla sola Europa. Lo ha capito anche la stolida rappresentate degli Esteri Ue Kaja Kallas, che in un’intervista ha dichiarato: “Non possiamo essere solo noi“, Trump deve aiutarci.

Peraltro, che fosse quello il punto focale del discorso lo conferma il New York Times: “Grattando la superficie, un desiderio più profondo sembra celarsi nel cambiamento di posizione di Trump […]. Trump sembra volersi lavare le mani del conflitto ucraino, dal momento che non è riuscito a portare il presidente Vladimir Putin al tavolo dei negoziati e ha visto diminuire le sue possibilità di agire come mediatore”.

Il rapporto Usa-Russia resta più o meno inalterato, come conferma l’incontro avvenuto in parallelo al’invettiva di Trump, tra il Segretario di Stato Marco Rubio e il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. A dimostrazione della proficuità del vertice, la risposta di Lavrov a un cronista che gli chiedeva come fosse andata. Nessuna parola, solo un gesto inequivocabile: pollice in sù…


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NETANYAHU NON HA DISMESSO IL SUO SOGNO DI UNA SUPER-SPARTA, ANZI

L’aspetto più inquietante del discorso di Netanyahu alle Nazioni Unite, in una sala praticamente deserta per l’uscita di scena delle delegazioni di quasi tutto il mondo, non è tanto quel che ha detto, dal momento che ha ribadito le abusate nefandezze retoriche, ma il fatto che le sue parole siano riecheggiate in tutta la Striscia tramite altoparlanti e cellulari.

La trovata degli altoparlanti, piazzati un po’ ovunque dall’IDF, è stata criticata persino dagli stessi militari, con una fonte anonima che, interpellata da Haaretz, l’ha definita “folle“. In effetti, lo scopo non dichiarato era quello di affermare il dominio anche psicologico di Israele sulla Striscia: il comandante in capo del campo di sterminio che impone la sua voce agli impotenti prigionieri.

Ancora più inquietante il fatto che l’IDF abbia preso il controllo dei telefoni cellulari di tutti i cittadini di Gaza perché il messaggio risultasse più capillare e pervasivo. Una trovata in salsa circense, certo, ma che voleva essere una dimostrazione di potenza ostentata al mondo intero dall’alto scranno delle Nazioni Unite. E, in effetti, tale è risultata.

Non per nulla, per indicare il futuro del suo Paese, la Grande Israele agognata dal messianesimo ebraico, Netanyahu ha evocato Sparta, anzi una Super-Sparta a motivo della potenza geometrica della sua tecnologia, vieppiù potenziata dai profondi quanto inconfessabili rapporti con le Big Tech americane (vedi al Jazeera: “Come i veterani dell’intelligence israeliana stanno plasmando le grandi aziende tecnologiche statunitensi).

Peraltro, la trovata di prendere il controllo dei cellulari dei palestinesi aveva il precipuo scopo di rievocare la scioccante, quanto sulfurea, operazione dei cercapersone esplosivi condotta contro Hezbollah…


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GAZA: QUALCOSA SI MUOVE PER IL CESSATE IL FUOCO

Tutti i media israeliani parlano di una possibilità reale per raggiungere al cessate il fuoco a Gaza. Decisivo l’incontro tra Netanyahu e Trump di oggi, ma il preludio al faccia a faccia tra i due leader, che ha visto Netanyahu confrontarsi con Steve Witkoff, l’inviato Usa per il Medio oriente, e Jared Kushner (il genero di Trump che non ha nessun titolo per negoziare, ma sta ovunque), sembra sia andato bene.

Per parte sua Trump da alcuni giorni ripete il suo mantra votato all’ottimismo, che alla fine si ha sintetizzato così: “sono tutti sono a bordo“. Dove quel “tutti” dovrebbe ricomprendere anche Netanyahu.

Non sappiamo se sia vero né, se vero, cosa abbia fatto cambiare idea a Netanyahu, anche se si possono enumerare molteplici fattori, anzitutto il fatto che, con l’occupazione di Gaza City, cioè dell’ultimo lembo della Striscia, ha una finestra di opportunità per dichiarare di aver vinto la guerra.

Potrebbe cioè dichiarare di aver liberato gli ostaggi, cosa che otterrebbe con quella tregua che finora ha sabotato, e di aver sconfitto Hamas, avendo espugnato l’ultima roccaforte-rifugio della milizia (così nella sua retorica).
Annuncio di vittoria che ora potrebbe apparire credibile agli occhi dei suoi fan, ricacciando le accuse di aver cacciato l’IDF in un pantano inestricabile, critiche che incrementerebbero se, dopo aver occupato l’intera Striscia, proseguiressero gli attacchi di Hamas…


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🇵🇸🇵🇸🇵🇸 GAZA: LE TANTE CRITICITÀ DEL PIANO DI PACE IMPOSTO AD HAMAS

L’incontro tra Trump e Netanyahu ha avuto come esito, ad oggi l’unico, quello di rivelare il cosiddetto piano di pace stilato da Israele e formalmente proposto dagli Stati Uniti, ponendo fine a tante indiscrezioni pregresse che hanno posto ancora più criticità su una questione già fin troppo critica. In ballo c’è il destino oltre due milioni di palestinesi, sempre che i sopravvissuti al genocidio non siano di meno, e quello di una ventina di ostaggi israeliani (tanti dovrebbero essere i sopravvissuti).

Così si scopre che Tony Blair, segnalato in precedenza come il governatore de facto di Gaza, cosa inaccettabile per palestinesi e arabi, farà solo parte di un Board internazionale supervisionerà l’amministrazione di Gaza, affidata, quest’ultima, a un governo tecnocratico composto da palestinesi.

Inoltre, che la sicurezza della Striscia non sarà gestita da Israele, altra condizione inaccettabile, ma da una Forza di stabilizzazione internazionale composta da forze arabe e musulmane.

Fin qui le rassicurazioni, ma il testo non rassicura affatto sulle possibilità che Hamas lo accetti. Il punto nodale della questione resta il ritiro dell’IDf dalla Striscia, richiesta ovvia e sempre ribadita da Hamas in tutte le trattative pregresse.
Sul punto, il testo è stato cambiato all’ultimo minuto in un confronto riservato con Netanyahu e i suoi collaboratori. Lo scrive il Timesofisrael, che dettaglia: “Il punto 3 di quello che all’epoca era un piano di 21 punti, ottenuto dal Times of Israel, affermava che ‘le forze israeliane si ritireranno sulle linee di combattimento a partire dal momento in cui verrà presentata la proposta [dell’inviato speciale degli Stati Uniti Steve] Witkoff per preparare il rilascio degli ostaggi’”.

La versione aggiornata recita: “Le forze israeliane si ritireranno secondo la linea concordata”. Cenno aleatorio che secondo il Timesofisrael dovrebbe far riferimento “a una nuova mappa compresa nella versione aggiornata [del piano] che illustra le tre fasi del ritiro israeliano da Gaza”…


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DAL PROIETTILE MAGICO DI JFK A QUELLO MIRACOLOSO DI KIRK

Tante le domande che circolano nel movimento Maga sull’omicidio di Charlie Kirk, fondatore del Turning point Usa [TPUSA], crimine del quale è accusato Tyler Robinson, ora agli arresti. Un articolo di Kit Kalemberg su al Mayadeen ne squaderna alcune.

Anzitutto, lo sceriffo che, secondo la narrazione, insieme al padre avrebbe convinto Robinson a costituirsi, ha detto che l’ha fatto solo perché “le foto del presunto assassino di Kirk gli somigliavano e temeva di essere ucciso in un raid della SWAT”. E, infatti, nonostante l’FBI abbia pubblicizzato messaggi nei quali si auto-accusava, “nega ogni responsabilità” (perché negare, se ha confessato nei messaggi?).

Domande sorgono sul ritrovamento del suo asserito fucile, avvolto in un asciugamano, nei boschi vicini all’dell’Utah Valley University (UVU), dove si è consumato il crimine, mentre lui continuava ad aggirarsi “per ore nel campus dopo la sparatoria, nonostante potesse fuggire immediatamente in auto”. Ciò, scrive il cronista “è palesemente assurdo”.

E domande sorgono anche sui messaggi di Robinson, che nel movimento Maga si sostengono falsi perché si tratta di un gergo lontano anni luce da quello giovanile. Inoltre, “resta aperta la questione se Israele sia in qualche modo coinvolto nell’omicidio di Kirk. Pur essendo stato un fervente sionista […], negli ultimi mesi Kirk ha iniziato a criticare l’influenza di Tel Aviv sui politici statunitensi e la minaccia che Benjamin Netanyahu trascinasse Washington in una guerra con l’Iran…


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🇵🇸⛵️🇵🇸⛵️🇵🇸⛵️ LA FLOTTILLA: FINCHÉ LA BARCA VA, LASCIALA ANDARE

Oggi la Croce Rossa ha annunciato che è costretta a interrompere le proprie attività a Gaza City a causa dell’intensificarsi delle attività militari israeliane. Oggi altri 51 palestinesi si sono aggiunti alla lunga lista dei morti ammazzati, che da quasi due anni ogni giorno si aggiorna di un centinaio di nuovi iscritti, mentre altri due sono morti per fame, aggiungendosi ai 453 precedenti. La maggior parte di questi defunti sono bambini, considerati evidentemente come terroristi in fasce-erba. Ieri l’UNWRA, l’agenzia ONU per la Palestina, ha comunicato che circa 500mila palestinesi di Gaza City sono costretti in “soli otto chilometri quadrati”…

Ma non sono questi i problemi attuali delle Cancellerie europee e di tanti media del Vecchio Continente, che nulla hanno fatto perché tali prevedibilissimi sviluppi non si verificassero, stante anche che sul cosiddetto piano di pace made in Usa, come sugli altri pregressi, non hanno toccato palla. Il problema è che la Flottilla, quattro comici spaventati guerrieri per citare un titolo di Benni, non disturbi la macchina da guerra israeliana, che ha dichiarato Gaza off limits.

Non è off limits solo per i guerrieri di cui sopra, ma anche per l’Onu, per gli osservatori occidentali, come anche per i giornalisti, ché quelli occidentali sono interdetti, mentre i palestinesi sono più prosaicamente ammazzati. Nessun testimone degli orrori di Gaza o, nell’evidente impossibilità di eliminarli tutti, quantomeno è necessario sfoltirne il numero tramite interdizione, bombe e pallottole. E la Flottilla ha il torto, tra le altre cose, di poter testimoniare.

Non tanto di testimoniare gli orrori, che non glieli faranno nemmeno sfiorare, essendo il destino dei navigatori una cella già approntata, se non peggio.

QUANTO DI TESTIMONIARE CHE QUALCOSA PER QUEI POVERETTI SI PUÒ FARE…


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🇻🇪🇮🇷🇻🇪🇮🇷🇻🇪🇮🇷 IL DIPARTIMENTO DELLA GUERRA USA PRENDE DI MIRA VENEZUELA A IRAN

L’inconsueta riunione dei massimi vertici dell’esercito americano di tutto il mondo, indetta dal Capo del Pentagono Pete Hegseth, ha allarmato il pianeta, spingendo gli analisti a chiedersi se gli Stati Uniti si preparassero a intraprendere una guerra su larga scala.

L’amministrazione Trump, per bocca del vicepresidente Vance, ha gettato acqua sul fuoco, spiegando che Hegseth, un civile che non ha nel suo bagaglio proficui rapporti con i militari chiamato a guidare,  voleva avviare un rapporto che non aveva con tanti di essi.

Secondo alcuni analisti Maga, il vertice aveva anche uno altro scopo: dare inizio a una purga che allontanerebbe alcuni dei convenuti dai loro posti. Un ricambio ritenuto necessario per stornare dalla stanza dei bottoni alcuni alti gradi che ancora rispondono ai vecchi padroni, peraltro critici della nuova gestione. Anche nell’esercito, quindi, si starebbe realizzando quanto accaduto nell’amministrazione pubblica statunitense. E il tenore dei discorsi tenuti da Heseth e Trump, che non ha resistito alla tentazione di intervenire, ha confermato tale analisi.

E però, al netto di queste spiegazioni, il tono bellicoso usato nell’occasione da Hegseth non rassicura affatto. Non tanto l’esortazione a essere “preparati alla guerra”, che a tale scopo si esercitano tutti gli eserciti del mondo, quanto la reiterazione del concetto che la pace si realizza “attraverso la forza“, un’idea che appartiene alla religione neoconservatrice e che già tanti danni ha fatto in giro per il mondo...


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🏴‍☠️🏴‍☠️🏴‍☠️ LA PIRATERIA CONTRO LA FLOTTILLA E IL SENSO DI NETANYAHU PER LA PACE

Minacce, pirateria marittima, sequestro di persona, furto (delle imbarcazioni e dei beni, personali e non), e altre fattispecie di reato sono state consumate tra ieri sera e stanotte dall’IDF, e dalle autorità israeliane da cui dipendono, nelle acque internazionali prospicenti Gaza, mentre le autorità dei Paesi dei cittadini contro i quali venivano commessi tali reati si limitavano a chiedere, queruli, ai criminali in questione di non usare violenza.

Tale la follia dilagante nel mondo da quando il Diritto è stato bombardato a Gaza, insieme a una moltitudine di inermi. Non potendo legittimare tale barbarie, i corifei della Hasbara nostrani, interpellati sul tema, hanno tirato in ballo la guerra in corso, che renderebbe giustificabili tali azioni.

Anzitutto quanto accade a Gaza non è una guerra. Una guerra presuppone l’esistenza di due eserciti contrapposti, mentre, come dichiarano esplicitamente le autorità di Tel Aviv, si tratta di un’operazione anti-terrorismo, sebbene condotta con dinamiche di guerra, con tutte le criminali storture del caso.

Resta, però, che il Diritto vale anche in tempo di guerra. A tale scopo sono state stilate le Convenzioni di Ginevra, che Israele può decidere di ignorare, come sta ampiamente dimostrando, ma che non possono permettersi di ignorare i corifei in questione, che vivono in un Paese che tali Convenzioni ha sottoscritto, se vogliono conservare un minimo di autorevolezza.
Peraltro, quanto avvenuto è anzitutto un atto di guerra, ché come tale si configura la violenza esercitata contro cittadini stranieri inermi impegnati in una missione umanitaria, per di più in un’area non appartenente alla sovranità israeliana.

Se è ragionevole, stante la situazione, per i Paesi sfidati non adire a una guerra aperta, resta che una reazione era pur doverosa, come ad esempio quella del presidente colombiano Gustavo Petro, che ha dato il foglio di via alla delegazione israeliana di stanza presso la sua nazione…


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Anche oggi la stampa italiana sembra abitare un Paese diverso da quello del popolo italiano. “Flotilla, crociera finita”, titola Libero. “La farsa è finita”, scrive Il Giornale. Oppure la pavida sobrietà di Repubblica: “Israele ferma la Flotilla”. Il Corriere, invece, si domanda se quanto ordinato da Netanyahu sia lecito. E no, non lo è: ve lo diciamo noi. Uniche voci fuori dal coro: il manifesto con “Assalto nel buio” e il Fatto Quotidiano che scrive “I pirati di Netanyahu”.

Ieri notte Israele ha abbordato le imbarcazioni della Flotilla in acque internazionali e ha arrestato gli attivisti, come era previsto. Ciò che non era previsto, invece, è stata la notte storica per l’Europa: dal Belgio all’Italia, dalla Spagna alla Turchia, scrive Muratore su Inside Out, un’onda anomala che chiede lo stop al genocidio di Gaza.

Come scrive Davide Malacaria su InsideOver, hanno fatto qualcosa che ha portato un alito di speranza nell’oscurità di Gaza e non solo.
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"Terroristi, sostenitori di assassini. Non siete venuti qui ad aiutare ma per sostenere Gaza, i terroristi".

Così il ministro israeliano Itamar Ben Gvir ha fatto irruzione nell'area di detenzione al porto militare di Ashdod, urlando agli attivisti detenuti della Steadfastness Fleet, della Global Sumud Flotilla, prima di ordinare il loro trasferimento nella prigione di Ketziot.

In un raro esempio di insulto pubblico a tutti i Paesi europei e arabi, Ben Gvir ha attaccato verbalmente gli attivisti internazionali e giornalisti della Global Sumud Flotilla detenuti.

Il 2 ottobre Israele ha arrestato circa 500 persone provenienti da 46 Paesi che partecipavano all'iniziativa pacifica nata per rompere il blocco israeliano e creare un cordone umanitario per la popolazione stremata di Gaza, da due anni martoriata e affamata dall'esercito israeliano.

Nella navi, secondo anche quanto dichiarato da Ben Gvir, sono state trovate scatole di latte in polvere.

#gazagenocide #bengvirterrorist #globalsumudflotilla
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🇵🇸🇵🇸🇵🇸🇵🇸 GAZA: MEGLIO UNA PACE DIFETTOSA CHE LA PROSECUZIONE DEL GENOCIDIO

E così accade quanto sembrava impensabile: Hamas accetta il cosiddetto piano di pace di Trump e, a sua volta, il presidente americano accoglie con favore il consenso della milizia islamica e chiede a Israele di cessare “immediatamente” le azioni offensive.

La reazione di Trump, come rivelato da Barak David a Channel 12, ha “sorpreso” Netanyahu, una sorpresa che si spiega col fatto che, accogliendo subito e senza consultarlo la risposta di Hamas, gli ha tolto margini di manovra per mandare all’aria l’ennesimo negoziato.

Gli ostaggi saranno rilasciati tutti e in una sola tornata insieme ai cadaveri dei poveretti defunti, almeno così prevede il piano di pace, ma ovviamente Hamas ha chiesto che si creino le condizioni perché avvenga, cioè che Israele allenti la presa e cessi le azioni militari, richiesta che Tel Aviv ha accolto passando in modalità difensiva e sospendendo la conquista dell’ultimo lembo di Gaza City.

Ma perché tutto sia predisposto per l’occorrenza, perché cioè il rilascio deli ostaggi proceda in sicurezza, serve un accordo dettagliato, da cui una nuova tornata di negoziati. In questa fase non sembra che possano essere inserite varibili tali da vanificare quanto avvenuto, ma la cautela è d’obbligo.

Per i palestinesi è un momento di sollievo dalle bombe – anche se denunciano ancora attacchi dell’IDF – in attesa che si spalanchino le porte agli aiuti umanitari che nei mesi precedenti sono stati ridotti al lumicino.

Anche stavolta sembrava doversi ripetere il copione delle trattative precedenti quando Hamas, pervenutagli la proposta di pace del caso, l’accoglieva chiedendo alcune modifiche significative, risposta che dava occasione a Netanyahu per sabotare il tutto. Proprio i precedenti devono aver convinto Hamas e i Paesi arabo-musulmani che stanno cercando di porre fine al genocidio di Gaza ad accogliere il piano di Trump senza eccessivi cambiamenti, nonostante le evidenti lacune.

Della partita erano anche Russia e Cina…


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DRONI IN EUROPA: ARRESTATE PERSONE SENZA LEGAMI CON I RUSSI

L’isteria per droni russi sui siti sensibili dell’Europa monta, insieme alla chiamata alle armi contro Mosca, per ora sono brandita, ma con prospettive fosche per il futuro. Nessuna prova di un collegamento tra i droni minacciosi e la Russia, se non le dichiarazioni degli incendiari leader europei, che brandiscono l’asserita minaccia per alimentare la corsa al riarmo.

Sul punto l’inquietante sviluppo della Romania, il cui parlamento sta approvando una legge per l’acquisizione di 216 carri armati Abramas, una massa di mezzi corazzati che potrebbe essere utilizzata in un futuro conflitto con Mosca, che il riarmo europeo, più che allontanare, approssima.

Sui droni, un articolo di Strana: “Diversi paesi europei hanno arrestato individui che hanno sorvolato gli aeroporti con droni. Le forze dell’ordine non hanno stabilito alcun legame con la Russia. Lo riporta la stampa tedesca. Secondo la Bild, tre cittadini tedeschi sono stati arrestati in Norvegia il 2 ottobre per aver pilotato un drone sopra l’aeroporto di Røssvoll”.
“La polizia ha anche arrestato un cittadino cinese in Norvegia per aver pilotato un drone sopra l’aeroporto di Svolvær […].

Non è stato segnalato alcun coinvolgimento russo nel suo caso. Secondo la Deutsche Welle, il 3 ottobre un pilota amatoriale croato è stato arrestato a Francoforte sul Meno dopo aver tentato di testare un drone civile facendolo volare sopra l’aeroporto”. L’arrestato “non ha legami con la Russia”. Notizie che non hanno trovato il giusto rilievo sulla stampa mainstream perché frenerebbe la pressione anti-russa.

Sul conflitto, la rivelazione dell’ex Cancelliera Angela Merkel, la quale ha dichiarato che nel 2021 voleva rimettere mano agli accordi Minsk per passare a trattative dirette con la Russia, essendosi accorta che erano ormai inefficaci. Ma Polonia e Stati baltici si sono opposti, vanificando il tentativo e aprendo la strada all’invasione russa…

Quanto al conflitto vero e proprio, due sviluppi recenti: la trovata di creare un muro di droni Nato ai confini russi, talmente assurda che è durata l’arco di alcuni giorni, e la possibilità che l’America fornisca a Kiev i missili a lunga gittata Tomahawk.

Un’idea irrealistica secondo Responsible Statecraft…

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🇵🇸🇵🇸🇮🇱🇮🇱 7 OTTOBRE: L'OSCURO MESSAGGIO DI YAHYA SINWAR

“Si prevede un’escalation nelle carceri e sulla questione dei prigionieri”. Questo il messaggio inviato da Yahya Sinwar, il capo di Hamas a Gaza, a Israele poche settimane prima del 7 ottobre 2023, come rivelato nel luglio del 2024 da Channel 12, con il placet – e il sigillo – della “censura militare”, e rilanciato dal Timesofisrael.

Un messaggio riferito non letteralmente, spiegava la Tv, una specifica che induce a estrapolare il succo del messaggio che è, in pratica, un’allarme su una prossima rivolta carceraria nella quale si prevedeva un problema di prigionieri. In pratica quanto avvenuto successivamente con la rivolta violenta di Gaza

, che dal 2005 è una prigione a cielo aperto, che ha creato un problema di prigionieri, cioè gli ostaggi.
Non si tratta di una nostra interpretazione, ma quanto scriveva il Timesofisrael. Infatti, annotava il media israeliano, il messaggio “mette in luce in modo drammatico gli eventi del 7 ottobre” e contiene dettagli che “a nostro avviso, col senno di poi, si riveleranno niente meno che storici”.

Certo, ciò che ad oggi appare scontato, allora, con con il relativo stallo del conflitto con Hamas, non lo era affatto. Resta che il messaggio di Sinwar, come annotava il media israeliano, aveva avuto la considerazione del caso: gli era stata assegnata “la massima classificazione di sicurezza possibile” perché considerato “altamente sensibile” e “circolava in modo molto limitato, solo tra i vertici della politica e della sicurezza”.

Tali vertici, aggiunge il media, tra i quali il premier Netanyahu e l’allora ministro della Difesa Yoav Gallant, lo presero in esame concludendo che riguardava alcuni israeliani allora tenuti prigionieri a Gaza. “La conclusione di queste discussioni fu che Sinwar si riferiva in realtà ai prigionieri e ai dispersi israeliani”, annotava infatti il Timesofisrael, cioè sembrava che volesse intavolare una trattativa per uno scambio di prigionieri.

Non solo il messaggio non fu compreso (e dire che l’intelligence israeliana vanta certa esperienza) ma, come annotava il Timesofisrael, non fu neanche messo in relazione con i ripetuti allarmi pervenuti alle autorità israeliane sull’imminenza di un attacco di Hamas…


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🇵🇸🇵🇸🇵🇸🇵🇸 DOPO IL 7 OTTOBRE, L'8 OTTOBRE E IL GENOCIDIO DEI PALESTINESI

Nel novembre 2023, un giornalista chiese [in modalità provocataria ndr.] a un manifestante di New York che chiedeva giustizia per Gaza: ‘Che pensa del 7 ottobre?’. La  risposta del manifestante ha colto di sorpresa il giornalista: ‘Mi chiede cosa penso del 7 ottobre? E lei che pensa dell’8 ottobre? Che pensa del 9 ottobre? Che pensa del 10 ottobre? Che pensa dell’11 ottobre?…’ (riuscì a costringere il giornalista ad ascoltare fino al 2 novembre)”. Inizia così un articolo di Fuad Zarbiyev, docente di Diritto internazionale presso il Geneva Graduate Institute di Ginevra. Scritto nel 2024, in occasione del primo anniversario del 7 ottobre, e pubblicato sul sito dell’Università svizzera, l’articolo resta di stretta attualità.

“Questa domanda merita davvero di essere posta”, prosegue  Zarbiyev. “La scorsa settimana era l’anniversario delle atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre 2023. Veglie e commemorazioni si sono tenute in tutto il mondo, da Amsterdam, Berlino, Parigi e Roma a Melbourne e Washington e la Torre Eiffel è rimasta al buio per commemorare le vittime degli attacchi di Hamas”.

“Nessuno che abbia veramente a cuore le vite degli innocenti può essere turbato da questa dimostrazione di solidarietà. È vero, come ha sottolineato il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres nella sua  dichiarazione al Consiglio di Sicurezza dell’ottobre 2023, che ‘gli attacchi di Hamas non sono avvenuti nel vuoto’ e che ’56 anni di soffocante occupazione’ rappresentano un contesto che è importante ricordare”, ma resta che “nessuna contestualizzazione può giustificare l’uccisione di civili israeliani innocenti o la loro presa in ostaggio”.

E, però, “ciò che è preoccupante è che non abbiamo assistito ad alcuna commemorazione ufficiale nelle capitali occidentali del numero terrificante di vittime delle operazioni militari israeliane a Gaza”.

“[…] È stato illuminato qualche edificio [pubblico] con i colori della bandiera palestinese per commemorare le vittime di Israele a Gaza?…

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🇵🇸🇵🇸🇵🇸🇵🇸 LA TREGUA A GAZA E L'ATTENTATO A MANCHESTER

Trump ha annunciato l’accordo tra Hamas e Israele. La macchina assassina israeliana è stata costretta a fermarsi, anche se l’IDF, come ha sempre fatto nelle guerre di Gaza pregresse e prima delle tregue che hanno avuto luogo nell’attuale, ha continuato a bombardare fino all’ultimo minuto prima dell’entrata in vigore ufficiale del cessate il fuoco. Una coazione a ripetere difficile da spiegare, se non con un termine psichiatrico: sadismo.

L’accordo prevede una prima fase in cui, cessate ostilità, sarà effettuato uno scambio di prigionieri, gli ostaggi vivi e i corpi dei defunti in cambio di 250 palestinesi che stanno scontando l’ergastolo nelle carceri israeliane e 1.700 detenuti a Gaza dal 7 ottobre. Nelle more dello scambio l’IDF effettuerà un ritiro parziale.

Come accenna Axios, le problematiche più “spinose, come il processo di disarmo di Hamas e la futura struttura di governo di Gaza, devono ancora essere negoziate”. Saranno trattate successivamente, mentre resta da vedere quando l’IDF completerà il ritiro dalla Striscia e se conserverà il controllo di una fascia di sicurezza più o meno ampia, come da pretese di Tel Aviv…


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🇻🇪🇻🇪🇻🇪 IL NOBEL PER LA PACE TRASFORMATO IN NOBEL PER LA GUERRA

Il Nobel per la pace non è stato assegnato a Trump, né era possibile nonostante tanti abbiano solleticato il suo narcisismo che l’aveva portato a pretenderlo, dal genocida Netanyahu (Timesofisrael), per la tregua a Gaza, passando a Zelensky, che si è detto pronto a sostenerne la candidatura se invierà i missili Tomahwak in Ucraina (Politico) – cioè se aumenterà le probabilità di una guerra nucleare.

Ma, in qualche modo, l’ha vinto per interposta persona dal momento che è stato assegnato a María Corina Machado, leader dell’opposizione venezuelana che in questo modo è stata incoronata reginetta del suo Paese. Pronta, cioè, a essere il volto nuovo del regime-change che l’amministrazione Trump intende realizzare a Caracas.

Così il Nobel per la pace è stato militarizzato per supportare una guerra che appare sempre più prossima. Da tempo, infatti, l’amministrazione Trump, sotto la spinta di Marco Rubio, sta accumulando forze contro il Venezuela, ufficialmente per contrastare il narcotraffico.

Alle prime navi da guerra se ne sono aggiunte progressivamente altre, tra cui un sommergibile, e ieri è arrivata una nave adibita alle operazioni speciali, mentre una squadriglia di F-35 è stata inviata in una base di Porto Rico.
Le forze statunitensi hanno già affondato alcune imbarcazioni venezuelane che sarebbero state usate per il narcotraffico, accusa non verificata e che non giustifica un crimine del genere, che peraltro è un atto di guerra.

Due giorni fa, poi, l’affondamento di un naviglio della Colombia, che dovrebbe essere fuori dal mirino degli Stati Uniti, ma che sembra esserci entrata a causa del sostegno accordato dal presidente Gustavo Petro al Venezuela…


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