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a cura di Davide Malacaria
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Gli Stati Uniti hanno superato una soglia inquietante: con gli ultimi raid nel Puntland, il numero dei bombardamenti effettuati quest’anno in Somalia ha raggiunto quota almeno 100.

AFRICOM ha annunciato negli ultimi giorni “una serie” di attacchi senza fornire ulteriori dettagli, limitandosi a dichiarare che “non saranno diffusi dettagli specifici su unità e mezzi impiegati per garantire la sicurezza operativa delle missioni”.

Da mesi il comando non comunica più stime su eventuali vittime civili. Solo nell’ultimo attacco secondo fonti locali i civili uccisi sono 12, di cui almeno 8 bambini.

Joseph Solis-Mullen, del Libertarian Institute, definisce questa lunga campagna militare il simbolo di "una politica in cerca di una giustificazione, difesa per abitudine più che per necessità. Perché non c’è nessuna ragione razionale per cui gli Stati Uniti debbano bombardare la Somalia”.

https://it.insideover.com/guerra/somalia-quando-washington-crea-i-nemici-da-combattere.html
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UCRAINA: IL PIANO DI PACE, SABOTATORI ALL'OPERA

Le delegazioni di Kiev e Washington sono convenute a Ginevra per confrontarsi sul piano di pace Usa per l’Ucraina. Il Capo del Dipartimento di Stato Marco Rubio ha parlato di un incontro “molto significativo… probabilmente il migliore che abbiamo avuto finora“. Parole che sembrano confermate dal generale Keith Kellog, l’inviato Usa per l’Ucraina dimissionario, secondo il quale “siamo molto vicini a porre fine a questa guerra“. Insomma, sembra che si siano aperti spiragli, ma…

Ma – appunto – tanto ottimismo stride con il commento prudente di Trump, che suona insolito anche per la propensione del personaggio a brandire successi immaginari. Così, infatti, Trump su Truth social: “È davvero possibile che si stiano facendo grandi progressi nei colloqui di pace tra Russia e Ucraina??? Non crederci finché non lo vedi, ma potrebbe succedere qualcosa di buono”.

Prudenza alla quale ci atteniamo perché consapevoli della complessità del processo in corso. Difficoltà prevedibili sono nate in seno alla Ue, che finora ha parlato solo di guerra e, quando si è materializzato il piano Trump, si è affettata a predisporre un suo piano di pace, che intende confrontare con quello Usa per approntarvi delle modifiche.

Gli ingredienti del piano Ue sono sempre gli stessi: “Nessuna limitazione all’esercito ucraino, porte della NATO spalancate, invio di truppe straniere, sanzioni che si accendono e spengono come luci di Natale – e nemmeno un centimetro di territorio ceduto” alla Russia, come sintetizza Gerry Nolan sul Ron Paul Institute.

“Non una tabella di marcia verso la pace – commenta Nolan – ma la più pericolosa finzione politica dai tempi del dossier sulle armi di distruzione di massa in Iraq….


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🇻🇪🇻🇪🇻🇪🇺🇸🇺🇸🇺🇸 SCOOP DI AXIOS: TRUMP PRONTO A PARLARE CON MADURO


“Il presidente Trump ha detto ai suoi consiglieri che ha intenzione di parlare direttamente con Nicolás Maduro”. Questo lo scoop di Axios, basato su informazioni confidenziali, che sembra confermare quanto Trump aveva dichiarato a metà novembre quando, interpellato sulla possibilità di interloquire con il presidente venezuelano, si era detto possibilista.

Lo scoop giunge mentre la pressione su Caracas sembra aver raggiunto l’acme dopo il dispiegamento al largo delle coste venezuelane della portaerei USS Gerald R. Ford e il diuturno, improvvido quanto illegale, affondamento di alcune barche ritenute dedite al traffico di droga.

Non solo il dispiegamento militare, ad allarmare sull’imminenza di un possibile attacco era stata anche la recente trovata di designare Maduro come capo del fantomatico Cartello dei soli (che però, come spiegano più o meno tutti gli analisti non consegnati alla propaganda, semplicemente non esiste). Inoltre, c’è stato l’avviso della Federal Aviation Administration, che ha designato i cieli del Venezuela e del Mar dei Caraibi meridionale “zona di volo potenzialmente pericolosa”.

A tutto ciò si aggiungeva il mandato alla Cia di intraprendere operazioni segrete contro Caracas, anche se si trattava più di teatro che di qualcosa di reale, stante che le operazioni segrete dell’intelligence Usa contro il Venezuela sono all’ordine del giorno da tempo.

E, però, nonostante lo scoop di Axios sul cambiamento di posizione di Trump, la querelle sull’attacco resta, almeno finché la rivelazione non conoscerà uno sviluppo concreto o Trump dichiari apertamente il cambio di paradigma.
Ma resta il fatto che la rivelazione non nasce dal nulla, dal momento che…


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🇵🇸🇵🇸🇵🇸🇵🇸 PALESTINA: I PRIGIONIERI DI GAZA

Gli attacchi israeliani a Gaza continuano, giorno dopo giorno, implacabili, come se il cessate il fuoco non esistesse, senza che gli Usa, principale sponsor di Tel Aviv, né i Paesi europei facciano nulla per impedirli. Sono 339 i palestinesi uccisi da quando è in vigore la cosiddetta tregua, 871 i feriti. Al solito, la maggior parte delle persone colpite sono donne e bambini.

Secondo Ramzy Baroud, che ne scrive su Antiwar, il fatto che Israele, oltre a continuare a bombardare, stia distruggendo tutto quel che si trova all’interno della cosiddetta striscia gialla, l’aera di Gaza che attualmente occupa – circa il 58% del totale  – segnala che ha piani diversi che non il ritiro, come sarebbe previsto dalla cosiddetta tregua.

Infatti, “se Israele avesse davvero intenzione di evacuare l’area dopo la seconda fase del cessate il fuoco, non starebbe perseguendo attivamente la distruzione sistematica e strutturale di questa regione già devastata. Chiaramente, le motivazioni di Israele sono molto più insidiose, incentrate sul rendere la regione perennemente inabitabile” (o forse altro e più sinistro… ci torneremo).

E, sul diuturno stillicidio dei palestinesi, annota: “In pratica, questo cessate il fuoco equivale a una tregua unilaterale, in cui Israele può condurre una guerra implacabile a bassa intensità contro Gaza, mentre ai palestinesi viene sistematicamente negato il diritto di rispondere o difendersi”.

“Gaza è quindi condannata a rivivere lo stesso tragico ciclo di storia violenta: una regione indifesa e impoverita, intrappolata sotto lo stivale dei calcoli militari israeliani, che operano costantemente al di fuori dei limiti del diritto internazionale”.

Non solo la distruzione. Se prima del 7 ottobre Gaza era una prigione a cielo aperto, ora è qualcosa di assimilabile a un campo di sterminio, nel quale i palestinesi, oltre a non poter fuggire, sono presi di mira ad arbitrio dei loro carcerieri…


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🇵🇸🇵🇸 IL COSIDDETTO PIANO DI PACE DI GAZA: FASE DUE DEL GENOCIDIO?

Secondo uno studio del Max Planck Institute for Demographic Research (MPIDR) sintetizzato da Antiwar, a Gaza sono state uccise oltre 100mila persone. Una constatazione alquanto ovvia, dal momento che le 78.318 vittime registrate finora sono quelle accertate in un territorio in cui domina un caos che rende oltremodo difficile le verifiche. Ma ora è ufficiale.

A tale analisi vanno aggiunte due considerazioni. La prima è che alle vittime dirette vanno aggiunte quelle indirette. Lo spiega Ana C. Gómez-Ugarte, che ha partecipato allo studio: “Gli effetti indiretti della guerra, che sono spesso più gravi e duraturi, non sono quantificati nelle nostre considerazioni”. Stime conservative, cioè minimaliste, sui conflitti indicano che nelle guerre a ogni vittima diretta se ne devono aggiungere 4 indirette.

Peraltro, parliamo di conflitti in cui esisteva un qualche servizio sanitario, non venivano imposte restrizioni draconiane agli aiuti né la Forza era usata in maniera tanto massiva e ingegnerizzata, cose che hanno reso l’aggressione di Gaza un unicum. A causa di questa mortalità, conclude lo studio, l’aspettativa di vita dei palestinesi di Gaza si è quasi dimezzata.

Non solo, il MPIDR ha accertato che ““la distribuzione per età e genere delle morti violente a Gaza […] è molto simile ai modelli demografici osservati in diversi genocidi documentati dal Gruppo interagenzia delle Nazioni Unite per la stima della mortalità infantile (UN IGME)”.

Questa la tragica situazione della Striscia, mentre incombe un futuro ancora cupo. Infatti, Hamas ha restituito quasi tutti i corpi degli ostaggi deceduti – ne mancano due – e ciò dovrebbe aprire alla fase due dei negoziati, che dovrebbe vedere Israele ritirarsi dai territori di Gaza occupati, ma non sembra che ciò sia all’orizzonte.

Lo dimostra il fatto che la Commissione israeliana che dovrebbe supervisionare la seconda fase comprende il…


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ISRAELE E AIPAC: DOPPIA SFIDA A MOSCA E PECHINO

Mentre l’Europa fatica a prendere una posizione su quanto accade a Gaza, Israele si sta muovendo sullo scacchiere internazionale alla ricerca di nuove convergenze diplomatiche e militari in due aree estremamente sensibili per Mosca e Pechino: i Paesi Baltici e Taiwan.

Da un lato, come ha rivelato Responsible Statecraft, “Estonia, Lettonia e Lituania hanno offerto un abbraccio politico e militare senza precedenti a Israele proprio nel momento in cui quest’ultimo è accusato davanti alla Corte Internazionale di Giustizia di un possibile genocidio”.

Dall’altro, il Times of Israel racconta come il presidente di Taiwan, Lai Ching-te, guardi apertamente a Israele come modello militare, invocando il mito biblico di “Davide contro Golia” per descrivere la sfida di Taipei verso Pechino.
Queste due traiettorie rivelano un disegno più ampio: Israele sta costruendo nuove alleanze in zone dove la sua presenza non era mai stata così marcata, entrando di fatto nel “ventre molle” delle sfere d’influenza strategica di Russia e Cina.

I BALTICI E LA CONTRADDIZIONE CHE LI DELEGITTIMA

Lo scorso 20 novembre il ministro degli Esteri estone, Margus Tsahkna, ha accolto il suo omologo israeliano Gideon Sa’ar per inaugurare l’ambasciata israeliana a Tallinn. Durante la cerimonia, Tsahkna e il ministro degli Esteri lettone, Baiba Braze, hanno ribadito il “diritto di Israele all’autodifesa”. Una formula che non regge più da tempo, dopo centinaia di migliaia di persone uccise nella Striscia di Gaza e dopo le ripetute violazioni del cessate il fuoco.

Secondo Responsible Statecraft, i “Paesi Baltici si sono spinti in un’operazione diplomatica che appare tanto rischiosa quanto…


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🇷🇺🇷🇺🇺🇸🇺🇸🇺🇦🇺🇦 LO SCONTRO SUL PIANO DI PACE PER L'UCRAINA

“Non vedo l’ora di incontrare presto il presidente Zelensky e il presidente Putin, ma solo quando un accordo per porre fine a questa guerra sarà definitivo o nelle sue fasi finali”, ha scritto Trump su Truth social.

Questa la reazione alla richiesta di Zelensky che voleva incontrarlo insieme ai leader europei alla Casa Bianca, riproponendo il format che aveva già fatto fallire i negoziati precedenti. Un secco niet al presidente ucraino e ai “volenterosi” europei a trazione britannica che stanno tentando in tutti i modi di infilarsi-infiltrarsi nella trattativa per vanificarla.

Inoltre, Trump ha annunciato che Witkoff incontrerà presto Putin a Mosca e che il segretario dell’esercito Driscoll incontrerà i leader ucraini a Kiev. “Il significato di questa dichiarazione è enorme”, scrive Strana. “Trump ha sventato il piano di Kiev, degli europei e forse di parte della sua stessa amministrazione di approvare l’accordo di pace in 19 punti concordato dalla delegazione ucraina con il Segretario di Stato Rubio a Ginevra”. 

Di fatto, anche una sconfessione di Rubio, che aveva annacquato il piano concordato tra Steve Witkoff e i russi in precedenza escludendovi la garanzia che l’Ucraina non aderisse alla Nato, le concessioni territoriali alla Russia – cioè il riconoscimento delle conquiste – e la limitazione dell’esercito ucraino. Di fatto, tutte le condizioni che rendevano il piano accettabile a Mosca.

La Russia l’avrebbe sicuramente rigettato, così che Trump sarebbe stato costretto dalle pressioni del partito della guerra ad addossargli la responsabilità della prosecuzione del conflitto e a sostenere più apertamente Kiev.

Per capire la portata delle dichiarazioni di Trump, Strana cita quanto riporta il New York Post, cioè che il capo dell’ufficio presidenziale, Andriy Yermak, quando le ha lette…


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BREAKING NEWS - La rivelazione di Fox News: l'attentatore afghano aveva lavorato per la CIA. Scontro al calor bianco, appunto...
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🇻🇪🇻🇪🇻🇪 VENEZUELA: DAGLI SQUADRONI DELLA MORTE AI REGIME-CHANGE

Elliott Abrams, ex inviato Usa per il Venezuela, ha illustrato la sua ricetta per “sistemare” il Venezuela, “un Paese che non capisce né rispetta, ma che si sente in diritto di riorganizzare come un mobile nel salotto di Washington”, annota Michelle Ellner su Antiwar.

La sua proposta è intrisa della stessa febbre da Guerra Fredda e della stessa mentalità coloniale che hanno plasmato il suo lavoro negli anni ’80, quando la politica estera statunitense trasformò l’America Centrale in un cimitero”.

“La mia infanzia in Venezuela è stata plasmata da storie della nostra regione che il mondo raramente conosce: storie di sfollamenti, di squadroni della morte, di villaggi cancellati dalle mappe, di governi rovesciati per aver osato agire al di fuori dell’orbita di Washington. E so esattamente chi è Elliott Abrams, non dalle biografie dei think tank, ma dal dolore insito nel paesaggio dell’America Centrale”.

“Abrams scrive con la sicurezza di chi non ha mai vissuto nei paesi destabilizzati dalle sue politiche. La sua ultima argomentazione si basa sul presupposto più pericoloso di tutti: che gli Stati Uniti abbiano l’autorità, in virtù del solo potere, di decidere chi governa il Venezuela”.

“Questo è il peccato originale della politica statunitense nell’emisfero, quello che giustifica tutto il resto: le sanzioni, i blocchi, le operazioni segrete, le navi da guerra nei Caraibi. Il presupposto che l’emisfero sia ancora un’estensione dello spazio strategico statunitense piuttosto che…


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IL GENOCIDIO DI GAZA E LA VISITA DI PAPA LEONE XIV IN LIBANO

“Il cessate il fuoco [a Gaza] rischia di creare la pericolosa illusione che la vita nella Striscia di Gaza stia tornando alla normalità. Ma, sebbene le autorità e le forze armate di Israele abbiano ridotto la portata degli attacchi e consentito l’ingresso di una limitata quantità di aiuti umanitari, il mondo non deve lasciarsi ingannare: il genocidio non è finito”. Così Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.

“A oggi”, ha aggiunto, “non c’è nessun segnale che Israele stia prendendo provvedimenti reali per invertire l’impatto mortale dei suoi crimini e non c’è nessuna prova di un cambiamento delle sue intenzioni. Le autorità israeliane stanno continuando a portare avanti le loro spietate politiche, restringendo l’accesso agli aiuti umanitari e ai servizi essenziali e imponendo deliberatamente condizioni di vita intese a distruggere fisicamente la popolazione palestinese”.

Dichiarazioni riportate in un comunicato di Amnesty nel quale si legge: “Pur in presenza di alcuni miglioramenti più che modesti, Israele continua a limitare di molto l’ingresso delle forniture e il ripristino di servizi essenziali per la sopravvivenza della popolazione civile, ad esempio vietando l’ingresso di attrezzature e materiali che servono a riparare infrastrutture necessarie per la vita umana e per rimuovere ordigni inesplosi, macerie contaminate e rifiuti, causando rischi potenzialmente irreversibili per la salute pubblica e per l’ambiente”.

“I palestinesi restano bloccati in meno della metà del territorio della Striscia di Gaza, nelle aree che hanno meno possibilità di sostenere la vita umana”, ha proseguito la Callamard, “mentre gli aiuti umanitari sono ancora molto limitati. Ancora oggi, nonostante i ripetuti moniti di organismi internazionali, tre serie di ordini giuridicamente vincolanti della Corte internazionale di giustizia, due pareri consultivi della medesima Corte e gli obblighi derivanti dal diritto internazionale umanitario e dal diritto internazionale dei diritti umani in quanto potenza occupante e soggetto coinvolto in un conflitto armato, Israele continua deliberatamente a…

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🇺🇦🇺🇦🇺🇦 UCRAINA. YERMAK, FINORA PRINCIPALE OSTACOLO AI NEGOZIATI, SI DIMETTE

Andriy Yermak, il capo dello staff presidenziale e l’uomo più potente di Kiev, si è dimesso, o è stato rimosso dall’incarico che dir si voglia, dopo la perquisizione degli inquirenti dell’Ufficio anti-corruzione presso la sua abitazione. Perquisizione avviata perché si voleva aumentare la pressione sul principale oppositore dei negoziati con la Russia, affinché Kiev ceda.

Lo evidenzia anzitutto la cronologia, che vede l’iniziativa degli inquirenti prodromica alla visita dell’inviato Usa Daniel Driscoll, che ha già esercitato pressioni in tal senso nel suo precedente viaggio a Kiev.

Ma se questo è chiaro, incerto è l’esito. Infatti, Strana, a perquisizione in corso, prospettava alcuni distinti scenari. Zelensky, privo del suo capo staff, potrebbe rimanere di fatto senza più poteri (dal momento che era Yermak a gestire tutto) anche se formalmente potrebbe rimanere in carica.

In questo caso, due gli scenari prospettati da Strana: a prendere il potere potrebbe essere “la fazione del Servitore del Popolo [il partito di Zelensky ndr] guidata da David Arakhamia”, con il governo attuale ancora in carica con qualche aggiustamento; oppure, la “coalizione anti-Zelensky”, formata da Petro Poroshenko e i parlamentari vicini agli organi da cui fluiscono i finanziamenti per media e politici (più o meno eterodiretti) “potrebbero riuscire a dividere il partito del Servitore del Popolo per formare una nuova maggioranza sfiduciando” il governo.

L’opzione che sembra aprire più opportunità ai negoziati appare quella del…


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🇷🇺🇷🇺🇺🇦🇺🇦 DIFENDERE KIEV DALLE RICHIESTE RUSSE... MA SENZA INTERPELLARE LA POPOLAZIONE

Tolto di mezzo il consigliere di Zelensky Andriy Yermak, dimesso prima che fosse arrestato per corruzione, i negoziati sul conflitto ucraino hanno una chance. Ciò non vuol dire che riusciranno, ché i fautori delle guerre infinite non si rassegneranno all’idea che la guerra per procura contro la Russia fino all’ultimo ucraino finisca: troppi gli interessi in gioco, sia economici che geopolitici.

Ma, almeno, Stati Uniti e Ucraina hanno potuto iniziare a parlare senza scontrarsi con il niet preventivo e irrevocabile del plenipotenziario di Zelensky, l’uomo che Londra e neocon avevano scelto per guidare l’Ucraina da dietro le quinte.
Tanto che il primo tentativo serio di imporre a Kiev di chiudere il conflitto da parte dell’amministrazione Trump, che doveva essere avviato ufficialmente a Istanbul il 19 novembre (dove Witkoff aveva dato appuntamento a Zelensky), è sfumato quando è diventato chiaro che la manovra per escludere Yermak dai giochi era fallita.

Nonostante fosse braccato dalle inchieste dell’Ufficio anti-corruzione e una nutrita schiera di parlamentari del partito del Servitore del popolo ne avesse chiesto le dimissioni, Yermak aveva resistito e, dopo essere volato a Londra per ricevere il sostegno del suo principale sponsor, si era presentato a Istanbul insieme a Zelensky e al Consigliere per la sicurezza nazionale Rustem Umerov, che in precedenza aveva concordato con Witkoff i 28 punti del piano di pace. Vista la mala parata, Witkoff ha deciso di disertare il summit, rimandando a data da destinarsi l’avvio ufficiale del negoziato.

Adesso che la pietra d’inciampo è stata eliminata, Umerov ha potuto...


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🇻🇪🇻🇪🇻🇪 USA - AMERICA LATINA: DA PINOCHET A MARIA CORINA MACHADO

Ieri Trump ha convocato alla Casa Bianca i più alti funzionari della Sicurezza nazionale per un confronto sul Venezuela. La riunione sarebbe stata decisa allo scadere dell’ultimatum dato al presidente venezuelano Nicolás Maduro nella telefonata della scorsa settimana perché abbandonasse immediatamente il Paese.

La notizia dell’ultimatum è stato riportata dal Wall Street Journal insieme alla notizia del rigetto da parte dell’amministrazione Usa della richiesta di Maduro di un’amnistia per sé stesso e alti funzionari a lui collegati, sui quali pende il mandato di cattura Usa per traffico di droga.

Possibile che l’ultimatum sia veritiero, mentre l’ulteriore notizia potrebbe essere fallace, dal momento che se l’esilio di Maduro fosse in Russia o Cina, come molto probabile, non ha bisogno di amnistia. Potrebbe cioè essere una notizia per dare del presidente venezuelano un’immagine di fragilità, per indurre le élite del Paese ad abbandonarlo all’irrevocabile destino.

La nostra è solo un’ipotesi, ovviamente, ma si basa su due dati. Anzitutto su quanto avvenuto nei regime-change pregressi made in Usa, ad esempio la notizia di una fuga di Erdogan dalla Turchia durante il tentato golpe del 2016, data per certa praticamente da tutti i media d’Occidente e poi smentita dai fatti. Il secondo dato è che certe dinamiche tendono a reiterarsi, dal momento che ormai anche i regime-change hanno protocolli e dinamiche collaudate.

Infine, la constatazione che il WSJ sta spingendo per la guerra, come denota…


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🇷🇺🇷🇺🇺🇸🇺🇸 WITKOFF E PUTIN RILANCIANO IL NEGOZIATO

I colloqui tra Putin e Steve Witkoff, sbarcato ieri a Mosca insieme al genero di Trump Jared Kushner, sono stati utili e costruttivi, come ha riferito il consigliere dello zar Yury Ushakov, anche se ancora non si è arrivati a un compromesso. “Abbiamo discusso della sostanza, non di una formula e di soluzioni specifiche”, ha aggiunto.

D’altronde, non è ancora pensabile un accordo. Troppi gli ostacoli frapposti dal partito della guerra e troppe le ambiguità di Zelensky, che da una parte afferma che “la pace è più vicina che mai” e dall’altra continua a interfacciarsi con i “volenterosi” europei che stanno cercando di far naufragare il negoziato.

Situazione di cui sono consapevoli oltreoceano, tanto che Witkoff ha annullato l’incontro con Zelensky a Bruxelles, in calendario subito dopo quello con Putin. Lo aveva preannunciato Axios, ma Witkoff e Kushner hanno preferito tornare subito in America, girando alla larga dal presidente ucraino e dai “volenterosi”.

Degno di nota il fatto che l’arrivo di Witkoff a Mosca sia coinciso con l’annuncio ufficiale della conquista di Pokrovs’k da parte dei russi, l’obiettivo principale della recente campagna militare a motivo dell’importanza della città sia dal punto di vista strategico che economico. Una conquista che Kiev ha cercato di evitare in tutti i modi, difendendola allo stremo nonostante fosse circondata; una determinazione che ha prodotto altre inutili stragi tra le fila dell’esercito ucraino.

La concomitanza tra il solenne annuncio della conquista e l’arrivo di Witkoff segnala che per Mosca la guerra può chiudersi qui, ovviamente se i territori conquistati, o parte di essi, saranno riconosciuti come russi, se a Kiev sarà preclusa la Nato e accetterà una limitazione del suo esercito, condizioni imprescindibili per Mosca e che Kiev e i “volenterosi” rifiutano di accettare.

Un rigetto che non nasce dalla necessità di preservare la sovranità ucraina, della quale non importa nulla né a Zelensky né ai “volenterosi”, quanto a…


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🇺🇸🇺🇸🇺🇸 USA. IL CAPO DEL PENTAGONO NELLA TEMPESTA

Il Capo del Pentagono Pete Hegseth è finito un’altra volta nell’occhio del ciclone: dopo l’attacco a una barca venezuelana sospettata di trasportare droga, avrebbe dato l’ordine di uccidere i sopravvissuti.

Hegseth afferma di non aver dato lui l’ordine e che non era presente quando è stato impartito e Trump lo sostiene, ma le accuse montano. Apparentemente questa tempesta sembra nascere dalla necessità di chiudere la porta sia a nuove aggressioni contro le barche venezuelane sia, soprattutto, alla guerra che incombe su Caracas, rimuovendo dalla scacchiera il pezzo più ingaggiato in questa criminale determinazione.

Ma è davvero così? In realtà, la questione è più complessa. Hegseth è solo un esecutore, la tragica partita si deciderà nello scontro tra neocon e Trump, con i primi che vogliono a tutti i costi la guerra mentre Trump continua nella sua muscolare indecisione, non fosse altro che perché sa che lo spettacolo dei marines che ritorneranno in patria dentro sacchi di plastica – e ce ne saranno se attacca – lederà non poco la sua immagine.

A volere a tutti i costi questa guerra sono i neoconservatori, i quali non hanno nulla da perdere, dal momento che da decenni governano gli Usa da dietro le quinte lasciando che altri si prendano le responsabilità delle loro sanguinarie follie. E, nello specifico, contano sul Capo del Dipartimento di Stato Marco Rubio, che più di altri sta spingendo per l’attacco.

Hegseth, il vicepresidente J. D. Vance e il potente segretario politico del Pentagono Elbridge Colby, di cui scriveremo di seguito, sono in linea col presidente, condividendo, riguardo al Venezuela, sia la posa muscolare che le ambiguità, che per ora hanno evitato lo scontro aperto.

Va anche ricordato che sia Hegseth che Colby sono da tempo nel mirino dei neocon, dal momento che…


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🇵🇸🇵🇸🇵🇸 ISRAELE E LA GUIDA AL GENOCIDIO TECNOLOGICO

“È ormai chiaro che le atrocità orribili non appartengono al passato; i crimini di guerra possono essere commessi dagli eserciti moderni utilizzando l’intelligenza artificiale e altre tecnologie più avanzate”. Così Hossam Shaker su Middle East Eye, e il riferimento è a Gaza, “dove Israele sta consumando un genocidio, una pulizia etnica, una distruzione di massa e una campagna di carestia, senza che ciò abbia ripercussioni sulle proficua cooperazione con le democrazie occidentali e i ‘paladini dei diritti umani’”.

“L’esperienza accumulata da Israele è ora a disposizione del mondo: una guida pratica per commettere un genocidio nel XXI secolo, la cui sfida essenziale è come far sì che il mondo conviva con un genocidio trasmesso in diretta sui nostri dispositivi mobili”.

“Gli sforzi dei media e della propaganda devono essere al servizio della strategia di aggressione adottata […] L’obiettivo non è quello di ‘conquistare i cuori e le menti’, ma di distrarre l’opinione pubblica dall’orrore in corso e di scoraggiare la compassione verso le vittime palestinesi”.

“Questa strategia di offuscamento richiede che Israele si faccia promotore di iniziative specifiche”. Anzitutto attraverso campagne diffamatorie contro gli organismi internazionali che ne denunciano i crimini, nel tentativo di delegittimarli e ridurli al silenzio, com’è avvenuto per la Corte Internazionale di Giustizia, la Corte Penale Internazionale o, con più successo, con l’Unrwa. In tal modo, Israele “ha ottenuto i vantaggi strategici e tattici auspicati, minando al contempo le basi della vita del popolo palestinese e il diritto al ritorno dei rifugiati”.

“Adottare un atteggiamento di negazione è fondamentale per la moderna guida israeliana al genocidio. Il testo potrebbe recitare: ‘Non c’è fame a Gaza. Le immagini e i video strazianti che il mondo vede sono inventati.

La gente di Gaza si gode persino…


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🇷🇺🇷🇺🇷🇺 I DILEMMI DI ZELENSKY, L'AFFANNO DEI "VOLENTEROSI"... E PUTIN VA IN INDIA

Tutto tace sui negoziati Usa – Russia, ma è ovvio che quanto concordato nell’incontro tra Putin e il duo Witkoff – Kushner si sta elaborando sottotraccia. Ieri, infatti, l’incontro tra Witkoff e Umerov a Miami, nel quale l’inviato statunitense avrà riferito al Consigliere per la Sicurezza nazionale ucraino le nuove.

Quanto all’inchiesta sulla corruzione della leadership ucraina, tutto tace. Di interesse quanto riferisce Strana: il potente Yermak, il capo staff di Zelensky, pur costretto alle dimissioni, non ha ricevuto nessun avviso di garanzia. E, come lui neanche gli ex ministri dell’Energia e della Giustizia, anch’essi finiti nel mirino degli inquirenti e dimissionari.

Tutto ciò, annota Strana, “è un’ulteriore prova del fatto che l’obiettivo primario” delle iniziative degli organi inquirenti “non è quello di denunciare i sistemi di corruzione e punire i responsabili, ma piuttosto di costringere Zelensky a prendere determinate decisioni”.

Così, se la loro attività dovessero riprendere e il nome di Yermak dovesse tornare nuovamente in auge “significherebbe solo che sarebbero sorti nuovi interrogativi sul conto di Zelensky”. Insomma, è più che probabile che a tirare le fila dell’inchiesta siano gli oppositori del presidente in combinato disposto con gli Usa.

Questa situazione lascia a Zelensky, che ha già dovuto rinunciare “al solutore di problemi” Yermak, poco spazio di manovra sui negoziati, come poco spazio di manovra, a livello politico, hanno i “volenterosi europei”. Infatti, il loro tentativo di sabotarli appare meno efficace dei precedenti.

Certo, possono spingere sulle provocazioni di natura militare, come ad esempio aiutare Kiev ad affondare navi che trasportano petrolio russo, ma a livello politico sono ai margini. E ciò non solo per la netta presa di posizione contro le ingerenze europee dell’amministrazione Usa, ma anche perché…


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