🇻🇪🇻🇪🇻🇪🇺🇸🇺🇸🇺🇸 SCOOP DI AXIOS: TRUMP PRONTO A PARLARE CON MADURO
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“Il presidente Trump ha detto ai suoi consiglieri che ha intenzione di parlare direttamente con Nicolás Maduro”. Questo lo scoop di Axios, basato su informazioni confidenziali, che sembra confermare quanto Trump aveva dichiarato a metà novembre quando, interpellato sulla possibilità di interloquire con il presidente venezuelano, si era detto possibilista.
Lo scoop giunge mentre la pressione su Caracas sembra aver raggiunto l’acme dopo il dispiegamento al largo delle coste venezuelane della portaerei USS Gerald R. Ford e il diuturno, improvvido quanto illegale, affondamento di alcune barche ritenute dedite al traffico di droga.
Non solo il dispiegamento militare, ad allarmare sull’imminenza di un possibile attacco era stata anche la recente trovata di designare Maduro come capo del fantomatico Cartello dei soli (che però, come spiegano più o meno tutti gli analisti non consegnati alla propaganda, semplicemente non esiste). Inoltre, c’è stato l’avviso della Federal Aviation Administration, che ha designato i cieli del Venezuela e del Mar dei Caraibi meridionale “zona di volo potenzialmente pericolosa”.
A tutto ciò si aggiungeva il mandato alla Cia di intraprendere operazioni segrete contro Caracas, anche se si trattava più di teatro che di qualcosa di reale, stante che le operazioni segrete dell’intelligence Usa contro il Venezuela sono all’ordine del giorno da tempo.
E, però, nonostante lo scoop di Axios sul cambiamento di posizione di Trump, la querelle sull’attacco resta, almeno finché la rivelazione non conoscerà uno sviluppo concreto o Trump dichiari apertamente il cambio di paradigma.
Ma resta il fatto che la rivelazione non nasce dal nulla, dal momento che…
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Piccole Note
Scoop di Axios: Trump pronto a parlare con Maduro
"Il presidente Trump ha detto ai suoi consiglieri che ha intenzione di parlare direttamente con Nicolás Maduro". Questo lo scoop di Axios, basato su
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🇵🇸🇵🇸🇵🇸🇵🇸 PALESTINA: I PRIGIONIERI DI GAZA
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Gli attacchi israeliani a Gaza continuano, giorno dopo giorno, implacabili, come se il cessate il fuoco non esistesse, senza che gli Usa, principale sponsor di Tel Aviv, né i Paesi europei facciano nulla per impedirli. Sono 339 i palestinesi uccisi da quando è in vigore la cosiddetta tregua, 871 i feriti. Al solito, la maggior parte delle persone colpite sono donne e bambini.
Secondo Ramzy Baroud, che ne scrive su Antiwar, il fatto che Israele, oltre a continuare a bombardare, stia distruggendo tutto quel che si trova all’interno della cosiddetta striscia gialla, l’aera di Gaza che attualmente occupa – circa il 58% del totale – segnala che ha piani diversi che non il ritiro, come sarebbe previsto dalla cosiddetta tregua.
Infatti, “se Israele avesse davvero intenzione di evacuare l’area dopo la seconda fase del cessate il fuoco, non starebbe perseguendo attivamente la distruzione sistematica e strutturale di questa regione già devastata. Chiaramente, le motivazioni di Israele sono molto più insidiose, incentrate sul rendere la regione perennemente inabitabile” (o forse altro e più sinistro… ci torneremo).
E, sul diuturno stillicidio dei palestinesi, annota: “In pratica, questo cessate il fuoco equivale a una tregua unilaterale, in cui Israele può condurre una guerra implacabile a bassa intensità contro Gaza, mentre ai palestinesi viene sistematicamente negato il diritto di rispondere o difendersi”.
“Gaza è quindi condannata a rivivere lo stesso tragico ciclo di storia violenta: una regione indifesa e impoverita, intrappolata sotto lo stivale dei calcoli militari israeliani, che operano costantemente al di fuori dei limiti del diritto internazionale”.
Non solo la distruzione. Se prima del 7 ottobre Gaza era una prigione a cielo aperto, ora è qualcosa di assimilabile a un campo di sterminio, nel quale i palestinesi, oltre a non poter fuggire, sono presi di mira ad arbitrio dei loro carcerieri…
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Palestina: i prigionieri di Gaza
"L'ampio Distretto di Gaza fu brutalmente ridotto alla Striscia di Gaza, appena l'1,3% della superficie complessiva della Palestina storica. La sua
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🇵🇸🇵🇸 IL COSIDDETTO PIANO DI PACE DI GAZA: FASE DUE DEL GENOCIDIO?
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Secondo uno studio del Max Planck Institute for Demographic Research (MPIDR) sintetizzato da Antiwar, a Gaza sono state uccise oltre 100mila persone. Una constatazione alquanto ovvia, dal momento che le 78.318 vittime registrate finora sono quelle accertate in un territorio in cui domina un caos che rende oltremodo difficile le verifiche. Ma ora è ufficiale.
A tale analisi vanno aggiunte due considerazioni. La prima è che alle vittime dirette vanno aggiunte quelle indirette. Lo spiega Ana C. Gómez-Ugarte, che ha partecipato allo studio: “Gli effetti indiretti della guerra, che sono spesso più gravi e duraturi, non sono quantificati nelle nostre considerazioni”. Stime conservative, cioè minimaliste, sui conflitti indicano che nelle guerre a ogni vittima diretta se ne devono aggiungere 4 indirette.
Peraltro, parliamo di conflitti in cui esisteva un qualche servizio sanitario, non venivano imposte restrizioni draconiane agli aiuti né la Forza era usata in maniera tanto massiva e ingegnerizzata, cose che hanno reso l’aggressione di Gaza un unicum. A causa di questa mortalità, conclude lo studio, l’aspettativa di vita dei palestinesi di Gaza si è quasi dimezzata.
Non solo, il MPIDR ha accertato che ““la distribuzione per età e genere delle morti violente a Gaza […] è molto simile ai modelli demografici osservati in diversi genocidi documentati dal Gruppo interagenzia delle Nazioni Unite per la stima della mortalità infantile (UN IGME)”.
Questa la tragica situazione della Striscia, mentre incombe un futuro ancora cupo. Infatti, Hamas ha restituito quasi tutti i corpi degli ostaggi deceduti – ne mancano due – e ciò dovrebbe aprire alla fase due dei negoziati, che dovrebbe vedere Israele ritirarsi dai territori di Gaza occupati, ma non sembra che ciò sia all’orizzonte.
Lo dimostra il fatto che la Commissione israeliana che dovrebbe supervisionare la seconda fase comprende il…
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Il cosiddetto piano di pace di Gaza: fase due del genocidio?
Su quanto sta accadendo, un articolo di Ramzy Baroud su Arab news. Secondo il cronista, Israele ha fallito nel suo tentativo di espellere i palestinesi e
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ISRAELE E AIPAC: DOPPIA SFIDA A MOSCA E PECHINO
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Mentre l’Europa fatica a prendere una posizione su quanto accade a Gaza, Israele si sta muovendo sullo scacchiere internazionale alla ricerca di nuove convergenze diplomatiche e militari in due aree estremamente sensibili per Mosca e Pechino: i Paesi Baltici e Taiwan.
Da un lato, come ha rivelato Responsible Statecraft, “Estonia, Lettonia e Lituania hanno offerto un abbraccio politico e militare senza precedenti a Israele proprio nel momento in cui quest’ultimo è accusato davanti alla Corte Internazionale di Giustizia di un possibile genocidio”.
Dall’altro, il Times of Israel racconta come il presidente di Taiwan, Lai Ching-te, guardi apertamente a Israele come modello militare, invocando il mito biblico di “Davide contro Golia” per descrivere la sfida di Taipei verso Pechino.
Queste due traiettorie rivelano un disegno più ampio: Israele sta costruendo nuove alleanze in zone dove la sua presenza non era mai stata così marcata, entrando di fatto nel “ventre molle” delle sfere d’influenza strategica di Russia e Cina.
I BALTICI E LA CONTRADDIZIONE CHE LI DELEGITTIMA
Lo scorso 20 novembre il ministro degli Esteri estone, Margus Tsahkna, ha accolto il suo omologo israeliano Gideon Sa’ar per inaugurare l’ambasciata israeliana a Tallinn. Durante la cerimonia, Tsahkna e il ministro degli Esteri lettone, Baiba Braze, hanno ribadito il “diritto di Israele all’autodifesa”. Una formula che non regge più da tempo, dopo centinaia di migliaia di persone uccise nella Striscia di Gaza e dopo le ripetute violazioni del cessate il fuoco.
Secondo Responsible Statecraft, i “Paesi Baltici si sono spinti in un’operazione diplomatica che appare tanto rischiosa quanto…
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Israele e AIPAC: doppia sfida a Mosca e Pechino
Mentre l’Europa fatica a prendere una posizione su quanto accade a Gaza, Israele si sta muovendo sullo scacchiere internazionale alla ricerca di nuove
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🇷🇺🇷🇺🇺🇸🇺🇸🇺🇦🇺🇦 LO SCONTRO SUL PIANO DI PACE PER L'UCRAINA
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“Non vedo l’ora di incontrare presto il presidente Zelensky e il presidente Putin, ma solo quando un accordo per porre fine a questa guerra sarà definitivo o nelle sue fasi finali”, ha scritto Trump su Truth social.
Questa la reazione alla richiesta di Zelensky che voleva incontrarlo insieme ai leader europei alla Casa Bianca, riproponendo il format che aveva già fatto fallire i negoziati precedenti. Un secco niet al presidente ucraino e ai “volenterosi” europei a trazione britannica che stanno tentando in tutti i modi di infilarsi-infiltrarsi nella trattativa per vanificarla.
Inoltre, Trump ha annunciato che Witkoff incontrerà presto Putin a Mosca e che il segretario dell’esercito Driscoll incontrerà i leader ucraini a Kiev. “Il significato di questa dichiarazione è enorme”, scrive Strana. “Trump ha sventato il piano di Kiev, degli europei e forse di parte della sua stessa amministrazione di approvare l’accordo di pace in 19 punti concordato dalla delegazione ucraina con il Segretario di Stato Rubio a Ginevra”.
Di fatto, anche una sconfessione di Rubio, che aveva annacquato il piano concordato tra Steve Witkoff e i russi in precedenza escludendovi la garanzia che l’Ucraina non aderisse alla Nato, le concessioni territoriali alla Russia – cioè il riconoscimento delle conquiste – e la limitazione dell’esercito ucraino. Di fatto, tutte le condizioni che rendevano il piano accettabile a Mosca.
La Russia l’avrebbe sicuramente rigettato, così che Trump sarebbe stato costretto dalle pressioni del partito della guerra ad addossargli la responsabilità della prosecuzione del conflitto e a sostenere più apertamente Kiev.
Per capire la portata delle dichiarazioni di Trump, Strana cita quanto riporta il New York Post, cioè che il capo dell’ufficio presidenziale, Andriy Yermak, quando le ha lette…
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Lo scontro sul piano di pace per l'Ucraina
Ma al di là delle domande di cronaca nera, che tali restano e presumibilmente resteranno, rimane l'incertezza sul processo di pace ucraino avviato dalla Casa
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🇻🇪🇻🇪🇻🇪 VENEZUELA: DAGLI SQUADRONI DELLA MORTE AI REGIME-CHANGE
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Elliott Abrams, ex inviato Usa per il Venezuela, ha illustrato la sua ricetta per “sistemare” il Venezuela, “un Paese che non capisce né rispetta, ma che si sente in diritto di riorganizzare come un mobile nel salotto di Washington”, annota Michelle Ellner su Antiwar.
La sua proposta è intrisa della stessa febbre da Guerra Fredda e della stessa mentalità coloniale che hanno plasmato il suo lavoro negli anni ’80, quando la politica estera statunitense trasformò l’America Centrale in un cimitero”.
“La mia infanzia in Venezuela è stata plasmata da storie della nostra regione che il mondo raramente conosce: storie di sfollamenti, di squadroni della morte, di villaggi cancellati dalle mappe, di governi rovesciati per aver osato agire al di fuori dell’orbita di Washington. E so esattamente chi è Elliott Abrams, non dalle biografie dei think tank, ma dal dolore insito nel paesaggio dell’America Centrale”.
“Abrams scrive con la sicurezza di chi non ha mai vissuto nei paesi destabilizzati dalle sue politiche. La sua ultima argomentazione si basa sul presupposto più pericoloso di tutti: che gli Stati Uniti abbiano l’autorità, in virtù del solo potere, di decidere chi governa il Venezuela”.
“Questo è il peccato originale della politica statunitense nell’emisfero, quello che giustifica tutto il resto: le sanzioni, i blocchi, le operazioni segrete, le navi da guerra nei Caraibi. Il presupposto che l’emisfero sia ancora un’estensione dello spazio strategico statunitense piuttosto che…
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Venezuela: dagli squadroni della morte ai regime-change
Elliott Abrams, ex inviato Usa per il Venezuela, ha illustrato la sua ricetta per "sistemare" il Venezuela, "un Paese che non capisce né rispetta, ma che si
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IL GENOCIDIO DI GAZA E LA VISITA DI PAPA LEONE XIV IN LIBANO
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“Il cessate il fuoco [a Gaza] rischia di creare la pericolosa illusione che la vita nella Striscia di Gaza stia tornando alla normalità. Ma, sebbene le autorità e le forze armate di Israele abbiano ridotto la portata degli attacchi e consentito l’ingresso di una limitata quantità di aiuti umanitari, il mondo non deve lasciarsi ingannare: il genocidio non è finito”. Così Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
“A oggi”, ha aggiunto, “non c’è nessun segnale che Israele stia prendendo provvedimenti reali per invertire l’impatto mortale dei suoi crimini e non c’è nessuna prova di un cambiamento delle sue intenzioni. Le autorità israeliane stanno continuando a portare avanti le loro spietate politiche, restringendo l’accesso agli aiuti umanitari e ai servizi essenziali e imponendo deliberatamente condizioni di vita intese a distruggere fisicamente la popolazione palestinese”.
Dichiarazioni riportate in un comunicato di Amnesty nel quale si legge: “Pur in presenza di alcuni miglioramenti più che modesti, Israele continua a limitare di molto l’ingresso delle forniture e il ripristino di servizi essenziali per la sopravvivenza della popolazione civile, ad esempio vietando l’ingresso di attrezzature e materiali che servono a riparare infrastrutture necessarie per la vita umana e per rimuovere ordigni inesplosi, macerie contaminate e rifiuti, causando rischi potenzialmente irreversibili per la salute pubblica e per l’ambiente”.
“I palestinesi restano bloccati in meno della metà del territorio della Striscia di Gaza, nelle aree che hanno meno possibilità di sostenere la vita umana”, ha proseguito la Callamard, “mentre gli aiuti umanitari sono ancora molto limitati. Ancora oggi, nonostante i ripetuti moniti di organismi internazionali, tre serie di ordini giuridicamente vincolanti della Corte internazionale di giustizia, due pareri consultivi della medesima Corte e gli obblighi derivanti dal diritto internazionale umanitario e dal diritto internazionale dei diritti umani in quanto potenza occupante e soggetto coinvolto in un conflitto armato, Israele continua deliberatamente a…
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Il genocidio di Gaza e la visita di Papa Leone XIV in Libano
"Il cessate il fuoco rischia di creare la pericolosa illusione che la vita nella Striscia di Gaza stia tornando alla normalità. Ma, sebbene le autorità e le
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🇺🇦🇺🇦🇺🇦 UCRAINA. YERMAK, FINORA PRINCIPALE OSTACOLO AI NEGOZIATI, SI DIMETTE
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Andriy Yermak, il capo dello staff presidenziale e l’uomo più potente di Kiev, si è dimesso, o è stato rimosso dall’incarico che dir si voglia, dopo la perquisizione degli inquirenti dell’Ufficio anti-corruzione presso la sua abitazione. Perquisizione avviata perché si voleva aumentare la pressione sul principale oppositore dei negoziati con la Russia, affinché Kiev ceda.
Lo evidenzia anzitutto la cronologia, che vede l’iniziativa degli inquirenti prodromica alla visita dell’inviato Usa Daniel Driscoll, che ha già esercitato pressioni in tal senso nel suo precedente viaggio a Kiev.
Ma se questo è chiaro, incerto è l’esito. Infatti, Strana, a perquisizione in corso, prospettava alcuni distinti scenari. Zelensky, privo del suo capo staff, potrebbe rimanere di fatto senza più poteri (dal momento che era Yermak a gestire tutto) anche se formalmente potrebbe rimanere in carica.
In questo caso, due gli scenari prospettati da Strana: a prendere il potere potrebbe essere “la fazione del Servitore del Popolo [il partito di Zelensky ndr] guidata da David Arakhamia”, con il governo attuale ancora in carica con qualche aggiustamento; oppure, la “coalizione anti-Zelensky”, formata da Petro Poroshenko e i parlamentari vicini agli organi da cui fluiscono i finanziamenti per media e politici (più o meno eterodiretti) “potrebbero riuscire a dividere il partito del Servitore del Popolo per formare una nuova maggioranza sfiduciando” il governo.
L’opzione che sembra aprire più opportunità ai negoziati appare quella del…
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Ucraina. Yermak, finora principale ostacolo ai negoziati, si dimette
In un altro articolo, firmato da Andrew Day, si annota: "Il piano di pace di Trump è il più equilibrato che l'Ucraina possa realisticamente sperare, dato lo
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Venezuela. NYT: Trump ha parlato con Maduro https://share.google/8SCkBE8bgdOXLqdmr
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Venezuela. NYT: Trump ha parlato con Maduro
"La scorsa settimana il presidente Trump ha parlato al telefono con il leader venezuelano Nicolás Maduro e ha discusso di un possibile incontro tra di loro,
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🇷🇺🇷🇺🇺🇦🇺🇦 DIFENDERE KIEV DALLE RICHIESTE RUSSE... MA SENZA INTERPELLARE LA POPOLAZIONE
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Tolto di mezzo il consigliere di Zelensky Andriy Yermak, dimesso prima che fosse arrestato per corruzione, i negoziati sul conflitto ucraino hanno una chance. Ciò non vuol dire che riusciranno, ché i fautori delle guerre infinite non si rassegneranno all’idea che la guerra per procura contro la Russia fino all’ultimo ucraino finisca: troppi gli interessi in gioco, sia economici che geopolitici.
Ma, almeno, Stati Uniti e Ucraina hanno potuto iniziare a parlare senza scontrarsi con il niet preventivo e irrevocabile del plenipotenziario di Zelensky, l’uomo che Londra e neocon avevano scelto per guidare l’Ucraina da dietro le quinte.
Tanto che il primo tentativo serio di imporre a Kiev di chiudere il conflitto da parte dell’amministrazione Trump, che doveva essere avviato ufficialmente a Istanbul il 19 novembre (dove Witkoff aveva dato appuntamento a Zelensky), è sfumato quando è diventato chiaro che la manovra per escludere Yermak dai giochi era fallita.
Nonostante fosse braccato dalle inchieste dell’Ufficio anti-corruzione e una nutrita schiera di parlamentari del partito del Servitore del popolo ne avesse chiesto le dimissioni, Yermak aveva resistito e, dopo essere volato a Londra per ricevere il sostegno del suo principale sponsor, si era presentato a Istanbul insieme a Zelensky e al Consigliere per la sicurezza nazionale Rustem Umerov, che in precedenza aveva concordato con Witkoff i 28 punti del piano di pace. Vista la mala parata, Witkoff ha deciso di disertare il summit, rimandando a data da destinarsi l’avvio ufficiale del negoziato.
Adesso che la pietra d’inciampo è stata eliminata, Umerov ha potuto...
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Difendere Kiev dalle richieste russe... ma senza interpellare la popolazione
Tanto che il primo tentativo serio di imporre a Kiev di chiudere il conflitto da parte dell'amministrazione Trump, che doveva essere avviato ufficialmente a
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🇻🇪🇻🇪🇻🇪 USA - AMERICA LATINA: DA PINOCHET A MARIA CORINA MACHADO
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Ieri Trump ha convocato alla Casa Bianca i più alti funzionari della Sicurezza nazionale per un confronto sul Venezuela. La riunione sarebbe stata decisa allo scadere dell’ultimatum dato al presidente venezuelano Nicolás Maduro nella telefonata della scorsa settimana perché abbandonasse immediatamente il Paese.
La notizia dell’ultimatum è stato riportata dal Wall Street Journal insieme alla notizia del rigetto da parte dell’amministrazione Usa della richiesta di Maduro di un’amnistia per sé stesso e alti funzionari a lui collegati, sui quali pende il mandato di cattura Usa per traffico di droga.
Possibile che l’ultimatum sia veritiero, mentre l’ulteriore notizia potrebbe essere fallace, dal momento che se l’esilio di Maduro fosse in Russia o Cina, come molto probabile, non ha bisogno di amnistia. Potrebbe cioè essere una notizia per dare del presidente venezuelano un’immagine di fragilità, per indurre le élite del Paese ad abbandonarlo all’irrevocabile destino.
La nostra è solo un’ipotesi, ovviamente, ma si basa su due dati. Anzitutto su quanto avvenuto nei regime-change pregressi made in Usa, ad esempio la notizia di una fuga di Erdogan dalla Turchia durante il tentato golpe del 2016, data per certa praticamente da tutti i media d’Occidente e poi smentita dai fatti. Il secondo dato è che certe dinamiche tendono a reiterarsi, dal momento che ormai anche i regime-change hanno protocolli e dinamiche collaudate.
Infine, la constatazione che il WSJ sta spingendo per la guerra, come denota…
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Usa - America Latina: da Pinochet a Maria Corina Machado
La notizia dell'ultimatum è stato riportata dal Wall Street Journal insieme alla notizia del rigetto da parte dell'amministrazione Usa della richiesta di
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🇷🇺🇷🇺🇺🇸🇺🇸 WITKOFF E PUTIN RILANCIANO IL NEGOZIATO
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I colloqui tra Putin e Steve Witkoff, sbarcato ieri a Mosca insieme al genero di Trump Jared Kushner, sono stati utili e costruttivi, come ha riferito il consigliere dello zar Yury Ushakov, anche se ancora non si è arrivati a un compromesso. “Abbiamo discusso della sostanza, non di una formula e di soluzioni specifiche”, ha aggiunto.
D’altronde, non è ancora pensabile un accordo. Troppi gli ostacoli frapposti dal partito della guerra e troppe le ambiguità di Zelensky, che da una parte afferma che “la pace è più vicina che mai” e dall’altra continua a interfacciarsi con i “volenterosi” europei che stanno cercando di far naufragare il negoziato.
Situazione di cui sono consapevoli oltreoceano, tanto che Witkoff ha annullato l’incontro con Zelensky a Bruxelles, in calendario subito dopo quello con Putin. Lo aveva preannunciato Axios, ma Witkoff e Kushner hanno preferito tornare subito in America, girando alla larga dal presidente ucraino e dai “volenterosi”.
Degno di nota il fatto che l’arrivo di Witkoff a Mosca sia coinciso con l’annuncio ufficiale della conquista di Pokrovs’k da parte dei russi, l’obiettivo principale della recente campagna militare a motivo dell’importanza della città sia dal punto di vista strategico che economico. Una conquista che Kiev ha cercato di evitare in tutti i modi, difendendola allo stremo nonostante fosse circondata; una determinazione che ha prodotto altre inutili stragi tra le fila dell’esercito ucraino.
La concomitanza tra il solenne annuncio della conquista e l’arrivo di Witkoff segnala che per Mosca la guerra può chiudersi qui, ovviamente se i territori conquistati, o parte di essi, saranno riconosciuti come russi, se a Kiev sarà preclusa la Nato e accetterà una limitazione del suo esercito, condizioni imprescindibili per Mosca e che Kiev e i “volenterosi” rifiutano di accettare.
Un rigetto che non nasce dalla necessità di preservare la sovranità ucraina, della quale non importa nulla né a Zelensky né ai “volenterosi”, quanto a…
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Witkoff e Putin rilanciano il negoziato
I colloqui tra Putin e Steve Witkoff, sbarcato ieri a Mosca insieme al genero di Trump Jared Kushner, sono stati utili e costruttivi, come ha riferito il
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🇺🇸🇺🇸🇺🇸 USA. IL CAPO DEL PENTAGONO NELLA TEMPESTA
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Il Capo del Pentagono Pete Hegseth è finito un’altra volta nell’occhio del ciclone: dopo l’attacco a una barca venezuelana sospettata di trasportare droga, avrebbe dato l’ordine di uccidere i sopravvissuti.
Hegseth afferma di non aver dato lui l’ordine e che non era presente quando è stato impartito e Trump lo sostiene, ma le accuse montano. Apparentemente questa tempesta sembra nascere dalla necessità di chiudere la porta sia a nuove aggressioni contro le barche venezuelane sia, soprattutto, alla guerra che incombe su Caracas, rimuovendo dalla scacchiera il pezzo più ingaggiato in questa criminale determinazione.
Ma è davvero così? In realtà, la questione è più complessa. Hegseth è solo un esecutore, la tragica partita si deciderà nello scontro tra neocon e Trump, con i primi che vogliono a tutti i costi la guerra mentre Trump continua nella sua muscolare indecisione, non fosse altro che perché sa che lo spettacolo dei marines che ritorneranno in patria dentro sacchi di plastica – e ce ne saranno se attacca – lederà non poco la sua immagine.
A volere a tutti i costi questa guerra sono i neoconservatori, i quali non hanno nulla da perdere, dal momento che da decenni governano gli Usa da dietro le quinte lasciando che altri si prendano le responsabilità delle loro sanguinarie follie. E, nello specifico, contano sul Capo del Dipartimento di Stato Marco Rubio, che più di altri sta spingendo per l’attacco.
Hegseth, il vicepresidente J. D. Vance e il potente segretario politico del Pentagono Elbridge Colby, di cui scriveremo di seguito, sono in linea col presidente, condividendo, riguardo al Venezuela, sia la posa muscolare che le ambiguità, che per ora hanno evitato lo scontro aperto.
Va anche ricordato che sia Hegseth che Colby sono da tempo nel mirino dei neocon, dal momento che…
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Usa. Il Capo del Pentagono nella tempesta
Il Capo del Pentagono Pete Hegseth è finito un'altra volta nell'occhio del ciclone: dopo l'attacco a una barca venezuelana sospettata di trasportare droga,
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🇵🇸🇵🇸🇵🇸 ISRAELE E LA GUIDA AL GENOCIDIO TECNOLOGICO
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“È ormai chiaro che le atrocità orribili non appartengono al passato; i crimini di guerra possono essere commessi dagli eserciti moderni utilizzando l’intelligenza artificiale e altre tecnologie più avanzate”. Così Hossam Shaker su Middle East Eye, e il riferimento è a Gaza, “dove Israele sta consumando un genocidio, una pulizia etnica, una distruzione di massa e una campagna di carestia, senza che ciò abbia ripercussioni sulle proficua cooperazione con le democrazie occidentali e i ‘paladini dei diritti umani’”.
“L’esperienza accumulata da Israele è ora a disposizione del mondo: una guida pratica per commettere un genocidio nel XXI secolo, la cui sfida essenziale è come far sì che il mondo conviva con un genocidio trasmesso in diretta sui nostri dispositivi mobili”.
“Gli sforzi dei media e della propaganda devono essere al servizio della strategia di aggressione adottata […] L’obiettivo non è quello di ‘conquistare i cuori e le menti’, ma di distrarre l’opinione pubblica dall’orrore in corso e di scoraggiare la compassione verso le vittime palestinesi”.
“Questa strategia di offuscamento richiede che Israele si faccia promotore di iniziative specifiche”. Anzitutto attraverso campagne diffamatorie contro gli organismi internazionali che ne denunciano i crimini, nel tentativo di delegittimarli e ridurli al silenzio, com’è avvenuto per la Corte Internazionale di Giustizia, la Corte Penale Internazionale o, con più successo, con l’Unrwa. In tal modo, Israele “ha ottenuto i vantaggi strategici e tattici auspicati, minando al contempo le basi della vita del popolo palestinese e il diritto al ritorno dei rifugiati”.
“Adottare un atteggiamento di negazione è fondamentale per la moderna guida israeliana al genocidio. Il testo potrebbe recitare: ‘Non c’è fame a Gaza. Le immagini e i video strazianti che il mondo vede sono inventati.
La gente di Gaza si gode persino…
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Israele e la guida al genocidio tecnologico
"È ormai chiaro che le atrocità orribili non appartengono al passato; i crimini di guerra possono essere commessi dagli eserciti moderni utilizzando
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🇷🇺🇷🇺🇷🇺 I DILEMMI DI ZELENSKY, L'AFFANNO DEI "VOLENTEROSI"... E PUTIN VA IN INDIA
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Tutto tace sui negoziati Usa – Russia, ma è ovvio che quanto concordato nell’incontro tra Putin e il duo Witkoff – Kushner si sta elaborando sottotraccia. Ieri, infatti, l’incontro tra Witkoff e Umerov a Miami, nel quale l’inviato statunitense avrà riferito al Consigliere per la Sicurezza nazionale ucraino le nuove.
Quanto all’inchiesta sulla corruzione della leadership ucraina, tutto tace. Di interesse quanto riferisce Strana: il potente Yermak, il capo staff di Zelensky, pur costretto alle dimissioni, non ha ricevuto nessun avviso di garanzia. E, come lui neanche gli ex ministri dell’Energia e della Giustizia, anch’essi finiti nel mirino degli inquirenti e dimissionari.
Tutto ciò, annota Strana, “è un’ulteriore prova del fatto che l’obiettivo primario” delle iniziative degli organi inquirenti “non è quello di denunciare i sistemi di corruzione e punire i responsabili, ma piuttosto di costringere Zelensky a prendere determinate decisioni”.
Così, se la loro attività dovessero riprendere e il nome di Yermak dovesse tornare nuovamente in auge “significherebbe solo che sarebbero sorti nuovi interrogativi sul conto di Zelensky”. Insomma, è più che probabile che a tirare le fila dell’inchiesta siano gli oppositori del presidente in combinato disposto con gli Usa.
Questa situazione lascia a Zelensky, che ha già dovuto rinunciare “al solutore di problemi” Yermak, poco spazio di manovra sui negoziati, come poco spazio di manovra, a livello politico, hanno i “volenterosi europei”. Infatti, il loro tentativo di sabotarli appare meno efficace dei precedenti.
Certo, possono spingere sulle provocazioni di natura militare, come ad esempio aiutare Kiev ad affondare navi che trasportano petrolio russo, ma a livello politico sono ai margini. E ciò non solo per la netta presa di posizione contro le ingerenze europee dell’amministrazione Usa, ma anche perché…
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I dilemmi di Zelensky, l'affanno dei "volenterosi"... e Putin va in India
Quanto all'inchiesta sulla corruzione della leadership ucraina, tutto tace. Di interesse quanto riferisce Strana: il potente Yermak, il capo staff di
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🇵🇸🇵🇸🇵🇸 L'ANNESSIONE DELLA CISGIORDANIA, IL SILENZIO DEL MONDO
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Mentre iniziava l’attacco alzo zero a Gaza nel post 7 ottobre, “un altro fronte di guerra si apriva silenziosamente. Non con attacchi aerei o artiglieria, ma con bulldozer, leggi e milizie di coloni. Mentre le bombe polverizzavano Gaza, la Cisgiordania occupata si incendiava in un fuoco diverso: quello delle espulsioni sistematiche, delle espropriazioni violente e dell’annessione legalizzata”. Così su The Cradle.
“Questa guerra non fa notizia né fa tendenza sui social media […] Ma le sue conseguenze potrebbero rivelarsi ancora più durature. Sotto la copertura della devastazione di Gaza, Israele ha accelerato una campagna pianificata da tempo per smembrare con la forza la Cisgiordania occupata, distruggere la vita agricola palestinese e cancellare ogni prospettiva di uno Stato palestinese sovrano”.
“I suoi strumenti sono sia brutali che burocratici: coloni armati, sottrazione dell’acqua, decreti su siti archeologici, strangolamento economico e la neutralizzazione politica di ciò che resta dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP)”.
“Gli attacchi dei coloni contro i palestinesi non sono più casuali o arbitrari […] questa violenza è diventata un’estensione semi-ufficiale dello Stato israeliano tramite paramilitari. Gruppi armati di coloni operano in pieno coordinamento con l’esercito di occupazione, agendo come esecutori di una politica volta allo sfollamento forzato”.
“Nelle aree B e C della Cisgiordania occupata, i contadini e gli abitanti dei villaggi palestinesi sono braccati da queste milizie, che irrompono nelle case, distruggono i pannelli solari, avvelenano i…
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L'annessione della Cisgiordania, il silenzio del mondo
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🇧🇪🇧🇪🇧🇪🇺🇦 GLI ASSET RUSSI CHE L'UE VUOLE IMMOLARE SULLA PILA FUNERARIA UCRAINA
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“La grande farsa dell’Europa tardo-imperiale è che ogni volta che Bruxelles inciampa in un altro errore storico di sua stessa creazione cerca immediatamente una mano straniera a cui dare la colpa”. Così, la riluttanza del Belgio a usare gli asset russi congelati nella società Euroclear all’inizio della guerra ucraina per aiutare Kiev è stata ricondotta a un’indebita influenza russa e i leader belgi accusati di essere, al solito, risorse di Mosca. Lo ha fatto Politico, come annota Gerry Nolan sul Ron Paul Institute, che critica il relativo articolo e commenta: “In realtà, l’unica risorsa di cui la Russia aveva bisogno era l’arroganza della stessa UE”.
Infatti, continua Nolan il “Belgio ha semplicemente fatto l’impensabile: ha detto la verità […] L’UE sta cercando di orchestrare il più grande furto di beni di un Paese sovrano della storia moderna, un’incursione diretta alle riserve della Banca centrale russa”. E, a fronte del pressing Ue, il “Belgio ha posto l’unica domanda sensata rimasta in Europa: ‘Siete tutti completamente fuori di testa?'”.
Così il primo ministro belga Bart De Wever è dipinto come “eccentrico, impulsivo e instabile, le stesse etichette utilizzate solitamente quando qualcuno si rifiuta di inchinarsi al pilota automatico imperiale. Ma il vero scandalo è che Bruxelles si aspettava che firmasse la messa in crisi dell’ordine finanziario del dopoguerra per un’altra foto con Zelensky”.
“I politici possono nascondersi dietro spettacolari cene di vertice a base di scampi, ma la realtà giuridica è brutale: saccheggiare la banca centrale di un’altra nazione non è una banale ritorsione politica. È una dichiarazione di guerra finanziaria al mondo intero. Annullerebbe l’immunità nazionale, distruggerebbe la neutralità delle riserve e segnalerebbe immediatamente al Sud del mondo che i loro asset nelle banche dell’UE sono ostaggio degli spasmi emotivi dell’Unione”.
“Un atto, un tratto di penna sconsiderato, e l’euro crolla come valuta sicura, i capitali fuggono in Asia e l’Occidente perde l’ultimo pilastro funzionale del suo potere. Il Belgio ha visto il baratro, Bruxelles lo ha valutato come un (perverso) atto di fede morale”.
Tale furto, peraltro, innescherebbe le ritorsioni di Mosca, che sono…
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🇸🇾🇸🇾 LA SIRIA UN ANNO DOPO ASSAD: IL TERRORISTAN DELLA CIA
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Un anno fa la caduta di Assad e l’ascesa al potere di al-Jolani, attuale presidente della Siria. Così Kevork Almassian sul Ron Paul Institute ricorda quel regime-change iniziato nel 2011. Una nota che spiega perché l’ex terrorista sia stato accolto a braccia aperte da Washington e dall’Occidente. “Cominciamo con la cronologia”, scrive, “perché già solo questa fa pensare che fin dall’inizio si è trattato di un’operazione di intelligence”.
“Abu Mohammed al-Jolani era in una prigione gestita dalla CIA in Iraq – Camp Bucca – insieme a un altro nome familiare: Abu Bakr al-Baghdadi. Entrambi furono rilasciati all’inizio del 2011. ‘Per una singolare coincidenza’ è proprio allora che inizia la guerra per il regime-change in Siria. Nel giro di poche settimane al-Baghdadi diventa il capo di quello che diventerà l’ISIS e al-Jolani attraversa il confine con la Siria per fondare Jabhat al-Nusra – ufficialmente la filiale di al-Qaeda nel mio Paese”.
Al-Jolani e la sua rete sono identificati come terroristi, c’è anche una taglia che pende sulla sua testa, ma “per oltre un decennio, mentre gli Stati Uniti radevano al suolo intere città in Iraq e Siria per combattere il ‘terrorismo’, per qualche oscuro motivo non hanno mai trovato il tempo o le coordinate per colpire seriamente al-Jolani o la sua struttura di comando”. Ciò perché al-Jolani combatteva “contro un governo che Washington aveva deciso che doveva scomparire: lo Stato siriano di Bashar al-Assad”.
Così, mentre al-Jolani e la sua rete iniziano a imperversare in Siria, ha inizio anche “l’Operazione Timber Sycamore: un programma segreto multimiliardario della CIA che ha fornito armi, denaro e addestramento ai cosiddetti ‘ribelli’ siriani. Questi sono stati spacciati all’opinione pubblica occidentale come ‘opposizione moderata’. Sul campo, quei moderati erano una specie in via di estinzione. Ciò che esisteva in realtà erano fazioni salafite-jihadiste fondamentaliste, con al Nusra al vertice della catena”.
“L’Esercito Siriano Libero (ESL) era la maschera, il logo sui documenti, il marchio che si poteva vendere al Congresso e alla CNN. La vera forza sul campo erano gli uomini di al-Jolani e gli altri gruppi takfiri, che combattevano sul serio, conquistavano territorio e imponevano il loro potere. Le armi andavano ‘ai moderati’ e i moderati le consegnavano magicamente ad al-Qaeda. Tutti a Washington fingevano sorpresa, ma…
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La Siria un anno dopo Assad: il Terroristan della CIA
Un anno fa la caduta di Assad e l'ascesa al potere di al-Jolani, attuale presidente della Siria. Così Kevork Almassian sul Ron Paul Institute ricorda quel
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🇵🇸🇵🇸🇵🇸 HAARETZ: ISRAELE, IL GENOCIDIO E LA SANTIFICAZIONE DELLA MORTE
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“Nello spinoso dibattito se il termine ‘genocidio’ si possa applicare alle politiche e alle azioni di Israele nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, i fatti chiave non sono in discussione. Certo, c’è una discussione statistica su quanti abitanti di Gaza siano stati uccisi e quanti abbiano perso casa, ma questo dibattito tecnico chiarisce in realtà la posizione di Israele. Stiamo discutendo se 70.000 persone uccise siano sufficienti a dimostrare un genocidio o se sia necessario un numero più alto”. Inizia così un articolo di Zvi Bar’el su Haaretz che collega quanto sta accadendo nella Striscia e in Cisgiordania alla repressione degli arabi-israeliani e di quanti difendono le loro ragioni, e la loro esistenza, all’interno di Israele.
“Ma questo conteggio – indipendentemente dal fatto che sia grande, piccolo o equivalente a un genocidio – nasconde una verità ancora più orribile”, continua Bar’el. “Una parte considerevole dell’opinione pubblica israeliana ritiene che l’uccisione e l’espulsione degli abitanti di Gaza siano giustificate e che, anche se ciò rientrasse nella definizione di genocidio, sia stato giusto perpetrarlo”.
“Fortunatamente, desiderare non attira nessuna punizione. Così gli israeliani possono continuare a sognare, felici, la scomparsa dei palestinesi non solo da Gaza, ma anche dalla Cisgiordania, da Gerusalemme Est e da Israele. Il pericolo che ciò comporta è che nel momento in cui il desiderio di annientare un’etnia e una nazione diventa legittimo, esso trova i canali attraverso i quali trasformarsi in realtà anche senza l’annientamento fisico”.
Quest’ultimo cenno fa riferimento “all’annientamento politico” della minoranza araba e alla “campagna di pulizia politica e culturale contro un’ampia fetta della società ebraica israeliana”, la cui leadership “è stata definita un nemico interno che, ‘per il bene dell’unità nazionale’, deve essere annientato”. Un processo che vede una stretta capillare contro gli arabi israeliani e quanti li sostengono, accettata più o meno da…
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Haaretz: Israele, il genocidio e la santificazione della morte
"Nello spinoso dibattito se il termine 'genocidio' si possa applicare alle politiche e alle azioni di Israele nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, i
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🇻🇪🇻🇪🇻🇪 VENEZUELA. IL NOBEL PER LA PACE E L'ATTACCO USA ALLA PETROLIERA DI CARACAS
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L’attacco alla petroliera venezuelana da parte degli Stati Uniti segna un’ulteriore escalation contro Caracas. Abbiamo usato il termine attacco perché di questo si è trattato, non di un sequestro come da dichiarazioni ufficiali che hanno usato un termine proprio del linguaggio giuridico che attenua volutamente quanto avvenuto. Si tratta di una vera e propria aggressione, un atto di guerra.
Non sfugge che l’attacco è avvenuto in concomitanza con il ritiro da parte di Maria Corina Machado del premio Nobel della pace a lei inspiegabilmente – o spiegabilmente – assegnato dal Comitato norvegese preposto a questa sciarada sempre più politicizzata. Coincidenza temporale non certo casuale.
La cosiddetta leader dell’opposizione, una “risorsa” degli States, è sbarcata in Norvegia dopo aver lasciato indisturbata il suo Paese (nel quale è perseguita dalla magistratura) grazie all’ausilio americano, secondo le sue dichiarazioni nelle quali ha raccontato la sua fuga clandestina. Il ministro dell’Interno venezuelano ha invece affermato che i suoi movimenti erano noti al governo, che non l’ha fermata (di certo non poteva, sarebbe stato un casus belli).
Al di là della querelle, appare più che singolare quel che ha dichiarato la donna ai media norvegesi. Nel riportare le sue parole, il New York Times riferisce che la Machado ha evitato di sostenere un eventuale attacco di Washington – ovvio, scatenerebbe le ire dei suoi connazionali – ma ha applaudito a quanto ha fatto finora, plauso che quindi ricomprende tacitamente anche l’affondamento delle barche venezuelane e l’uccisione dei civili connessa (quasi cento).
In realtà, però, ha trovato un modo ingegnoso per sostenere implicitamente l’attacco, affermando che di fatto il Venezuela sarebbe già sotto attacco. Così, infatti, sul New York Times: “Il Venezuela è già stato invaso. Abbiamo agenti…
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Venezuela. Il Nobel per la pace e l'attacco Usa alla petroliera di Caracas
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